Il nostro secondo confronto parte ancora da un libro di Stephen King che, stavolta, si misura con una miniserie televisiva e con un film
Vedi: Shining: Kubrick e King a confronto
Se il nostro primo confronto fra la stessa storia raccontata con due linguaggi diversi, Shining di King – Kubrik, si concludeva con un ex aequo, con una leggera preferenza per il film, per via del finale; anticipiamo subito che, questa volta, il libro vince a man bassa. Non è facile concentrare 1200 pagine in un film e questo lo sappiamo, ma qualcosina di più era lecito aspettarselo, anche perché il libro non mancherebbe di preziosi suggerimenti.
Partiamo dalla miniserie del 1990, diretta da Tommy Lee Wallace, che nel 2004 ha vinto il sondaggio di Radio Times per il programma televisivo più spaventoso mai trasmesso.
Tim Curry passa, con disinvoltura, dal tono gaio e amichevole del clown Pennywise a quello terrificante, ed è terrificante per davvero, del mostro che si nasconde nelle fogne di Derry. Ma le sue apparizioni, purtroppo, sono sporadiche. Forse è altro che fa spavento. Raramente i ragazzini sanno recitare e i nostri piccoli eroi non fanno eccezione. L’unico che sembra stare nella parte è Richie, gli altri fanno, effettivamente, spavento. Tuttavia sono molto più bravi dei loro omologhi adulti. Già questo fa calare vertiginosamente il piatto della bilancia dalla parte del libro, perché il film, in fondo, non sarebbe poi bruttissimo. Il problema è che anche in It, come in Shining, i protagonisti sono bambini. Kubrik aveva risolto il problema focalizzando tutta l’attenzione su Jack, anziché su Danny, snaturando il libro, ma facendo un bel film; con It sarebbe stato impossibile. Pennywise non compare molto neppure nel libro: è il terrore che incute nei bambini a far girare la storia; più di tanto non si poteva fare.
Nel libro, la gang dei ragazzini cattivi di Henry Bowers sono un altro supplemento di terrore per i sette amici della “banda dei perdenti”. Un piccolo intermezzo filologico: in questo specifico caso “losers”, in realtà, non ha l’accezione di “perdenti”, dovrebbe essere tradotto, molto più correttamente, “sfigati”. I veri sfigati, nella serie televisiva, sembrano essere, invece, Bowers e i suoi amici, che ordiscono abominevoli cattiverie, poi c’è sempre qualcosa che va storto e si ritrovano con le pive nel sacco. Più che uno spregevole teddy boy, Henry Bowers sembra Cattivik. Inutile soffermarci sulle differenze fra libro e film, c’è chi l’ha già fatto, ma c’è una differenza fra libro e film che nessuno ha rilevato: nel libro, dopo l’avventura nelle fogne, durante la quale Pennywise uccide i suoi due amici, Bowers impazzisce definitivamente, nel film si trasforma in Jim Jarmush.
Nel romanzo, King va continuamente avanti e indietro nel tempo,
usando questa tecnica: alla fine del capitolo inizia una frase, poi c’è il numero del capitolo successivo che inizia con una minuscola e la frase, iniziata alla fine del capitolo precedente, termina ma, dal contesto, capiamo di aver fatto un salto nel tempo di 27 anni, in avanti o indietro. Detto così non sembra granché, ma durante la lettura ottiene il suo bell’effetto; dà un senso di contemporaneità degli eventi, come se la caccia a It fosse una sola e i protagonisti fossero gli stessi bambini in corpi adulti.
Nel cinema questo va e vieni nel tempo è un molto più convenzionale insieme di flash back. Il protagonista si blocca, si vede tutta la scena in flash back, poi la macchina torna sul protagonista che si scuote, come si fosse risvegliato da un sogno. Non è un difetto del film, è il linguaggio per immagini che, paradossalmente, ha dei limiti che la parola scritta non ha.
Accostiamoci ora, speranzosi, al film del 2017.
Un po’ perché, con la sola eccezione del protagonista assoluto di The Rocky Horror Picture Show, recitare peggio degli attori, grandi e piccoli della miniserie è un’impresa al di sopra delle possibilità di chiunque, un po’ perché gli effetti speciali, negli ultimi anni, hanno fatto passi da gigante.
Sono passati 27 anni dal primo film, tanti quanti ne passano fra un risveglio e l’altro di It, ed eccoci al secondo It, parte prima, diretto da Andrés Muschietti. La scelta è stata quella di raccontare solo la prima caccia a It, quando i nostri eroi erano bambini. Niente saltabeccare nel tempo e ci è sembrata una scelta ragionevole, così il film non si frammenta e il ritmo rimane serrato. Certo che è una bella scorciatoia. Il tempo che va e viene e si confonde è il ricorso stilistico di maggior pregio del libro, quello che, in un certo modo, lo caratterizza. I ragazzini sono molto più bravi dei loro predecessori che, di per sé, non sarebbe un gran complimento. Infatti nessuno di loro è Laurence Olivier, ma sono più che dignitosi. L’unico che ci era piaciuto di più nella prima versione è Richie, l’ultimo è decisamente scialbo. L’altro personaggio che in versione 1990 rendeva di più è Pennywise; non perché Bill Skarsgård, degno figlio di Stellar, non sia bravo, ma perché è troppo aiutato dagli effetti speciali: alla fine sono quelli che fanno paura. A Tim Curry bastava cambiare il tono della voce per diventare il terrificante mostro di Derry. Comunque nulla da dire sull’interpretazione di Skarsgård, anche perché ricorda un po’ Klaus Nomi, quindi ci sta simpatico.
Una cosa che è assente nel secondo film è l’aspetto magico della caccia, che nel libro è essenziale. Nel primo It fanno quello che possono. Almeno ci hanno provato.
Come abbiamo premesso, il compito di trasformare un romanzo complesso come It non era facile.
La tecnica narrativa, estremamente elaborata, è irripetibile. Per ricostruire la psicologia dei personaggi, che King delinea con meticolosità freudiana, ci vorrebbe un film dedicato a ognuno. It di King è un libro del terrore, ma soprattutto di magia, che potrà anche essere letta come metafora della magia dell’infanzia, però funziona come in Harry Potter; It viene battuto con la magia non con la forza, né, come accade in It n.2 dall’assenza di paura. Nel libro i protagonisti di paura ne hanno, sia da bambini che da grandi, eccome; alla fine succede che It ha più paura di loro perché percepisce la loro magia.
In conclusione il film di Muschietti è un bel film, avvincente, ma anche in questo caso, come in Shining, il libro viene pesantemente snaturato.
Premesso che sono scandalosamente di parte: le classifiche si fanno per divertimento, ma sono abbastanza stupide; non so quanto sia grande Kubrik, ma è il regista che, personalmente, trovo più affine e che ha influito di più sul mio immaginario. Trovo curioso che King abbia censurato pesantemente la versione kubrikiana di Shining e non si sia espresso sulle due versioni di It. Può nascere il sospetto che la sensazione che Kubrik fosse stato più bravo di lui lo abbia fatto ingelosire.