Francesco Guccini, un nome che non ha bisogno di presentazioni e il suo nuovo libro Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto, in libreria per Giunti Editore
Ci sono stranezze negli eventi o negli accadimenti della vita che lasciano sbalorditi e ti chiedi se è solo un caso oppure, a volte, lo strano filo che lega il destino umano va al di là delle nostre facoltà mentali. Mi spiego meglio e ti faccio capire, caro iCrewer, perchè detto così sembra più strano di quello che in effetti è. Il mio contorto ragionamento parte da un titolo, anzi da due titoli Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto di Francesco Guccini, edito da Giunti, in libreria dal 17 Settembre 2019 e Ntra lustriu e scuru di Filippo Giordano, edito da Il centro storico, nel lontano 2006.
Dov’è la stranezza ti starai chiedendo? Te lo dico subito: tralummescuro, (dialetto emiliano) e ntra lustriu e scuru (dialetto siciliano) significano esattamente la stessa cosa e cioè “tra luce e buio”, riferito a quel momento particolare del crepuscolo quando non è ancora buio ma non c’è neppure tanta luce. Ed è ancora più strano che due autori, “strafamosissimo”(consentimi il superlativo “assolutissimo” inventato per l’occasione) il primo, poco noto l’altro, a distanza di anni, di località geografica, di dialetto e di mille altre cose ancora, si ritrovano con lo stesso titolo e, per certi versi, con le stesse tematiche. Dimmi se non è quantomeno particolare questo fatto! Saranno quei famosi fili invisibili che corrono da un estremo all’altro del pianeta e che uniscono le anime seppur non si siano mai conosciute? Oppure semplicemente lo stesso sentire interiore… O il caso.
Noi da queste parti abbiamo un nome per quest’ora, un’ora che è di tutti, un’ora che è pace e presagio. La chiamiamo tralummescuro: tra la luce e la notte. Lungo la montagna vedi la linea d’ombra che sale lenta lenta, e poi vien buio. Questo scrive Francesco Guccini nel suo Tralummescuro… Mentre Filippo Giordano, nella raccolta di poesie in dialetto siciliano Ntra lustriu e scuru, scrive: Sugnu, ntra lustriu e scuru, nna sta strata/ chi sparti a manu manca ra riritta./ […]. Sorprendente, pur con le dovute e evidenti differenze. Fatta questa premessa, doverosa perché oltre ad aver trattato Filippo Giordano, e le sue opere in un precedente articolo, (al quale ti rimando se vuoi, per farti un’idea) sono una dei tanti che apprezzano il Guccio nazionale, le sue canzoni e la sua arte, anche se ultimamente all’attività di cantautore ha sostituito quella di scrittore e poeta, con eguale passione e bravura.
Radici è il titolo di uno dei primi album di Francesco Guccini, e radici è la parola che forse più di tutte rappresenta il cuore della sua ispirazione artistica. Radici sono quelle che lo legano a Pàvana – piccolo paese tra Emilia e Toscana dove sorge il mulino di famiglia e radici sono quelle che sa rintracciare dentro le parole, giocando con le etimologie fra l’italiano e il dialetto, come da sempre ama fare. Oggi Pàvana è ormai quasi disabitata, i tetti delle case non fumano più. È in questo silenzio che il narratore evoca per noi i suoni di un tempo lontano, in cui la montagna era luogo laborioso e vivo, terra dura ma accogliente per chi la sapeva rispettare. Rinascono così personaggi, mestieri, suoni, speranze: gli artigiani all’opera in paese o lungo il fiume, i primi sguardi scambiati con le ragazze in vacanza, i giochi, gli animali e i frutti della terra, un orizzonte piccolo ma proprio per questo aperto all’infinito della fantasia. Tra elegia e ballata, queste pagine sono percorse da una continua ricerca delle parole giuste per nominare ricordi, cose e persone del tempo perduto; la malinconia è sempre temperata dalla capacità di sorridere delle umane cose e dalla precisione con cui vengono rievocati gesti, atmosfere, vite non illustri eppure piene di significato. Francesco Guccini non canta più, ma la sua voce si leva di nuovo per noi, alta, forte, piena di poesia, per consegnarci un’opera che è testamento e testimone da raccogliere, in attesa di una nuova aurora del giorno.
Le radici sono importanti, bisogna tornare alle radici- faceva dire il regista Paolo Sorrentino alla Santa, nella scena finale del film La grande bellezza e questo concetto è ben chiaro nella mente e nell’opera di autori famosi come Francesco Guccini ma lo è in egual misura, nella mente di autori molto meno famosi come Filippo Giordano che, guarda caso, altra stranezza, hanno le stesse iniziali nel nome.
[…] è un libro di ricordi e malinconia, di persone e cose del tempo perduto, in un paese disabitato, dove i tetti delle case non fumano più.
Qualche breve notizia sull’autore…
Francesco Guccini è uno dei più importanti e popolari cantautori italiani. Debutta ufficialmente nel 1967 con l’LP Folk beat n.1. La sua carriera ultraquarantennale ha visto la pubblicazione di libri e di oltre venti album di canzoni ma ultimamente ha lasciato il canto ed i concerti per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Fra le sue attività anche i fumetti, la composizione di musica, oltre alla passione per la lessicologia, la lessicografia, la glottologia, l’etimologia, la dialettologia, il teatro. I testi dei suoi brani si possono considerare, senza ombra di dubbio, componimenti poetici: la familiarità con l’uso dei versi è tale, da costituire materia di insegnamento nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo. Oltre all’apprezzamento della critica, Francesco Guccini riscontra un vasto seguito popolare, venendo considerato da molti il cantautore “simbolo”, a cavallo di tre generazioni.