L’ importanza delle parole……
Scrive Trina …
Io, invece, credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette, per quanto la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare le parole…
Le parole… quanto potere hanno le parole… il potere di dare voce ai pensieri, di raccontarci agli altri, di trasmettere e dare un significato ai sentimenti, qualunque essi siano e, anche se fanno male “tenersele strette“, come ci confida Trina, la protagonista di “Resto qui”, ultimo libro di Antonio Balzano, finalista al Premio Strega 2018.
Il libro e il suo titolo nascono, dalle sensazioni provate dall’autore, dopo aver visto la punta del campanile che, quasi magicamente, esce dal centro del piccolo lago di Curon Venosta e il desiderio di capire cosa fosse accaduto, lo spinge a ricercarne le ragioni e di ritornare indietro nel tempo, agli anni della guerra, quando silenzio e paura di parlare, costrinsero gli abitanti del piccolo paesino ad arrendersi fuggendo sulle montagne, quando la diga, voluta da Mussolini, con le sue acque ricopri interamente il paese.
Balzano, attraverso le parole dei pochi superstiti, decide di affidare alla sua protagonista, il compito di riscattare la paura e ridare, finalmente, a quel piccolo pezzo di terra e alla sua gente, la dignità. Il titolo del libro, in qualche modo, esprime questa forza, la voglia di esserci, di non subire, di affermare la propria volontà senza paura, lottando magari con altri mezzi, magari con le parole, se con altro non può.
L’eroina di Balzano è cosi. Forte e determinata, ha scelto di studiare, è diventata una maestra, conosce il valore delle parole e le sa usare, ed è l’unico mezzo per raccontare la sua vita, fatta di sofferenze e umiliazioni ma anche di speranza e di rinascita. II dialogo è diretto, Trina si rivolge alla figlia scomparsa, portata via dai tedeschi e di cui lei, orma,i non sa più nulla, ma non dispera, vuole sentirla vicina e l’unico modo per tenere in vita la speranza, è parlare con lei.
E scrivendo le racconta, piano piano, di lei, del suo innamoramento con il compagno di una vita, Erich, della voglia di studiare e di istruire gli altri anche se a Curon, il suo paese al confine con l’Austria, la guardano con diffidenza perchè chi “sa troppo non è affidabile” ma lei sa cosa vuole e di quegli sguardi non si cura. Andrà dritta per la sua strada anche quando Mussolini, nel 23, incurante delle origini, pretende che non si insegni il tedesco anzi, vuole spazzare via il paese costruendovi una diga, quella diga che, subito dopo la guerra, ricoprirà il piccolo paesino lasciandone fuori solo la punta del campanile.
Trina non fugge via, si difende con ciò che sa fare, rimane ad insegnare nelle Katacombeschulem, le scuole clandestine, non rinuncia ad essere se stessa, da voce con le sue parole anche al marito, sempre taciturno, ma sarà costretta, suo malgrado, ad arrendersi alla guerra, fuggendo sui monti con il marito disertore. La fine della guerra permette ai due clandestini di tornare a valle, ma la diga è pronta per allagare il paese e i suoi campi, scappano tutti, Erich è indeciso, ma non Trina… Io resto qui.
“Se per te questo posto ha un significato, se le strade e le montagne ti appartengono, non devi aver paura di restare”
Lo avrebbe fatto anche Balzano, ne sono sicura e, ora più che mai, non mi sorprende che, in dirittura d’arrivo al Premio Strega, solo per una manciata di punti, l’avventurosa fotografa tedesca di Helena Janeczek abbia superato l’orgogliosa Trina del nostro autore. Due donne, in fondo, forti, pronte a lottare per le proprie idee, ognuno con i propri mezzi, Gherda, con la sua Leika, Trina con le sue parole, dette senza paura, per non dimenticare.