………L’ uomo che danzava sul ring……
Il primo pugno Ali lo dette in giovanissima età, per vendicare il furto della sua bicicletta, dono del padre per il suo compleanno, un pugno assestato molto bene tanto da convincere il poliziotto irlandese, giunto in suo soccorso, a portarlo, con il consenso della famiglia, in una palestra di pugilato.
Inizia cosi la carriera e la storia di Cassius Marcellus Clay, di Nasville il più grande personaggio sportivo che la storia abbia riconosciuto e che Federico Buffa, nel libro a lui dedicato e scritto a quattro mani con Elena Catozzi, ci fa scoprire, con grande devozione, rivelandoci i lati meno conosciuti ma indispensabili per capire come il giovane Cassius sia diventato il grande Ali.
Nelle pagine, si racconta di un giovane orgoglioso ma dall’animo buono, capace di correre dietro a un bus per andare a scuola pur di non chiedere alla madre i soldi per un biglietto o di tenersi in disparte, nonostante i festeggiamenti per una vittoria, per leggere la Bibbia. Cassius Clay era cosi, un uomo forte ma giusto e il desiderio di giustizia lo porterà, afferma il giornalista nel suo libro, “ad essere molto di più di un grande sportivo, in un momento in cui il mondo stentava a capirsi, racconta Buffa” quest’uomo ha fatto in modo che le genti si capissero e anche se, all’apparenza, i modi non risultassero i più idonei, il suo desiderio era di tenere insieme le persone.”
Non penso sia stato facile neanche per Angelo Dundee, il suo allenatore, decidere di occuparsi di una personalità cosi forte e tecnicamente dotata come quella del grande pugile ma vederlo sul quadrato ripagava di tutti i sacrifici. Cassius Clay incantava coloro che lo guardavano, alla potenza muscolare si univa una velocità ed elasticità di movimenti incredibile, difficile stargli dietro, nessuno come lui sapeva “danzare” sul ring, volare come una farfalla e pungere come un ape, doti che gli consentiranno di conquistare il suo primo oro olimpico nel ‘60, a Roma, medaglia che butterà, senza pensarci due volte, nell’Ohio per protesta contro le leggi razziali e che gli verrà, nuovamente, riconsegnata solo nel 1996.
Per il pugile americano, gli anni ’60 sono quelli della contestazione e della conversione all’Islamismo, cambierà il suo nome in Muhammad Ali, come obiettore di coscienza si rifiuterà perfino di partire per il Vietnam dichiarando che “nessun Vietgong lo aveva mai chiamato negro“, una dichiarazione che gli costerà la licenza sportiva, il ritiro del titolo mondiale e 5 anni di carcere. Ma lui continua ad allenarsi senza rinunciare ad esprimere il suo pensiero, Ali aveva capito che, intorno al gesto tecnico, c’era ben altro e che attraverso il suo modo di affrontare “le battaglie sul ring” avrebbe potuto comunicare agli altri il suo messaggio.
Nel racconto degli autori, è viva l’immagine di un uomo che, dopo l’ultima indimenticabile incontro vinto con Foreman, si ritrova a combattere la lotta più difficile contro la malattia ma anche in questo caso, Ali sceglie di usarla come mezzo per costringere il mondo a riflettere.
Nella memoria del libro, gli incontri “decisivi” con Mandela dopo la liberazione, la visita in Afghanistan, a Saddham Hossein, le amicizie con Martin Luther King e Malcom x, a conferma del suo impegno costante nella rivendicazione dei diritti umani, senza dimenticare il suo gesto più bello, lo ricordo con commozione anche io, l’accensione del fuoco olimpico ad Atlanta nel ‘96, nonostante le immagini lo riportassero in difficoltà e tremante per la malattia che lo accompagnerà per altri 30 anni.
“Ali è un uomo eccezionale, capace di cambiare la società con le sue parole ma soprattutto con i suoi gesti, dice Buffa, ci lascia il suo modo di essere spontaneo anche nell’essere unico, e questa spontaneità è stata “decisiva per gli uomini decisivi”.
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