Lo sport insegna a lottare per la vittoria, ti indica la strada per superare la fatica, fornisce i mezzi per migliorare la propria resilienza, è i modo più veloce e probabilmente più giusto per imparare a vivere. E questo le donne lo hanno sempre saputo o probabilmente ne sono state sempre capaci. È una questione di DNA, fa parte del suo patrimonio genetico sapere i tempi e i modi per ottenerlo. Le potremmo chiamare “ le donne guerriere dello sport”
Pensiamo alle Amazzoni donne guerriere vissute già prima della guerra di Troia, un esempio ancora oggi usato per identificare il prototipo di donna forte, atletica, capace di sfidare chiunque e affrontare qualsiasi avversità.
E così per i secoli che si sono avvicendati, dai giochi dell’antica Grecia dove le donne erano usate come allenatori per i cavalli nelle gare di velocità con i carri.
Pierre de Coubertin, in contraddizione ai suoi principi, le avrebbe volute “fuori dai giochi” per usare un eufemismo tant’è che nella prima edizione dei Giochi del 1896 ad Atene di donne neanche l’ombra.
Le donne guerriere dello sport, esempio di forza e resilienza
Non fu certo questo a fermarle. Stamàta Revithi ne è l’esempio, benché fosse stata estromessa dai giochi l’atleta greca si presentò con gli uomini alla partenza e pur se in ritardo di un ora rispetto al vincitore percorse tutto tutto il percorso senza mai fermarsi.
Così anche Charlotte Cooper la tennista inglese vincitrice a Wimbledon nel 1895 un risultato confermato l’anno successivo quando il tennis entra di diritto alle olimpiadi di Atene.
Un’atleta incredibile, pensa che nonostante fosse diventata sorda, la Cooper ha giocato la sua ultima partita alla veneranda età di 42 anni!
Ad Alice Joséphin Marie Milliat, straordinaria atleta e dirigente sportiva francese nata alla fine del ‘800 va il nostro rispetto. La “Passionaria dello sport, così venne chiamata all’epoca, ” era una donna forte, dallo sguardo fiero, con una volontà di ferro, sicura di sé, con un coraggio incredibile, capace di contrastare perfino De Coubertin. Non fu la sola ad imposrsi alle strane regole del CIO.
Ne vogliamo ricordare alcune? l’australiana Fanny Durack prima nei 100 m stile libero. ai Giochi del 1912, a Stoccolma, Ondina Valla, a Berlino, nel 1936, è la prima donna italiana a vincere un oro olimpico negli 80 metri ostacoli, Rosetta, Marta e Losanna, le ” giovinette del calcio” che l’Italia fascista avrebbe voluto solo come ” buone madri e non“ virago calciatrici”.
Voglio ricordare anche Cathrine Virginia Switzer, la prima a partecipare alla Boston Marathon, riconosciuta all’epoca con il numero 261, Lorena Ramirez, chiamata la maratoneta con i sandali,
Per arrivare ai giorni nostri quando nel 2009, all’età di 19 anni, Caster Semenya intervistata dopo aver vinto il campionato mondiale degli 800 metri a Berlino, alla domanda se fosse “nata maschio, per fugare qualsiasi dubbio fu costretta ad esibire il certificato di nascita e non solo.
Con lei la campionessa di boxe Sarah Ourahmoune, Billie Jean King grande tennista, caparbia e tenace nella lotta perché le donne ricevessero gli stessi compensi degli uomini.
Una lotta per i diritti e le uguaglianze senza tempo che le donne continuano ad esercitare senza risparmiarsi, con ogni mezzo che sia una gara o la strada imbracciando un fucile.
Le donne guerriere dello sport dal campo di allenamento al fucile per difendere la patria
Il coraggio di una donna lo si vede soprattutto quando a prevalere è il desiderio di sopraffazione. L’invasione dell’Ucraina ha generato la consapevolezza che l’identità di un popolo prevale su qualsiasi realtà esterna.
Lo sa bene Anastasiia Lenna bellissima modella ucraina, esperta di softair, ovvero il “gioco” che simula operazioni militari. I suoi allenamenti si svolgono al poligono e le sue foto sono spesso postate sui social accompagnate da parole molto evocative.
Non potrebbe essere altrimenti Quella della modella e giocatrice ucraina è una storia di coraggio ed eroismo.
Laureata in Marketing e management presso la Slavistik University di Kieve capace di parlare cinque lingue diverse, Anastasya, senza pensarci due volte ha scelto di abbandonare tutto e di imbracciare il fucile per difendere la sua identità e il suo Paese.
“Non sono un militare, solo una donna, solo un normale essere umano. Solo una persona, come tutte le persone del mio Paese. Sono anche un giocatore di softair da anni. Tutte le immagini nel mio profilo servono ad ispirare le persone.
Ho avuto una vita normale solo mercoledì scorso, come milioni di persone. Non faccio propaganda se non mostrare che la nostra donna ucraina è forte, sicura di sé e potente.
Parlo a tutte le persone del mondo: fermate la guerra in Ucraina! Nessun popolo dovrebbe morire; possiamo fermare tutto questo. Insieme”.
Finire il mio articolo con le parole di Anastasiia restituisce senso ai sacrifici e alle lotte di qualsiasi donna impegnata nella lotta per il rispetto dei diritti umani, con i propri mezzi, qualunque essi siano e in qualsiasi campo essi vengano espressi. La nostra solidarietà va alle donne ucraine, alle donne afgane, alle donne che attraversao lo sport reclamano il sacrosanto diritto di vivere .