È stato un anno lungo, ricco di eventi e personaggi che lo hanno reso importante, tuttavia, con mio sommo piacere e in alcuni casi per acclamata solidarietà, ho scoperto che le donne dello sport hanno avuto un ruolo estremamente decisivo nei risultati e non solo.
Scegliere la strada impervia dell’agonismo non sarà certamente stato facile, per ognuna di loro è stato un acquisire e maturare nel tempo la consapevolezza di “essere” prima di “diventare” qualcuno. A molti può sembrare un obiettivo facile da raggiungere ma non è così, al contrario, lo si ottiene con grandi sacrifici e la convinzione che regole e soddisfazioni devono essere uguali per tutti.
È indubbio che le caratteristiche di una donna, probabilmente per struttura fisica, comportano variabili da cui non si può prescindere, ma è noto quanto la resistenza e la caparbietà siano qualità che la rendono lungimirante e certamente incline al successo.
La sudditanza della donna nei confronti del genere maschile la si riscontra ancora oggi radicata, per uso e costumi, nelle tradizioni orientali e negli stati islamici, ma, all’atto pratico, non ha avuto sconti neanche nei paesi occidentali dove le atlete, in quanto donne e spesso mamme, sono costrette a superare ostacoli burocratici enormi e sopportare grandi sacrifici.
Eppure la storia ci insegna che anche nello sport, e questo non lo dobbiamo dimenticare, qualcosa è stato fatto, e il merito va a quelle donne che con coraggio, hanno smosso le acque, capaci di imporsi contrastando le regole e lottando contro le discriminazioni.
Sarà che, nel passaggio di una sola notte domani ci ritroveremo catapultati nel nuovo anno, sarà che abbiamo sperato che quello ormai trascorso si portasse via amarezze e pregiudizi, ho pensato, per rispetto e meriti, di dedicare l’ultimo articolo dell’anno alle donne dello sport, quelle che hanno fatto la storia e quelle che tutti i giorni, provano a migliorare la loro realtà.
Mi piacerebbe citarle tutte ma sai bene che è impossibile, sono moltissime e non mi basterebbe un solo articolo, posso rappresentarle raccontandoti la storia di tre donne straordinarie che, in qualche modo, hanno rappresentato il loro tempo distinguendosi per la tenacia nel perseguire i loro sogni, la forza nel testimoniare le loro idee, magari contrastando regole all’epoca radicate e in apparenza controvertibili, ma capaci di opporvisi con l’esempio e la fierezza dei gesti.
Nel mio podio immaginario, la medaglia di bronzo la darei a Lorena Ramirez, chiamata la maratoneta con i sandali,una giovane indigena messicana di 25 anni nata nella comunità contadina di Tarahumara, nello Stato settentrionale di Chihuahua. Nella traduzione letteraria Tarahumara,o Raramuri, significa Popolo dai piedi leggeri e Lorena in questo caso, amante del running ed esperta di maratone, deve aver davvero ereditato tutte le caratteristiche. Vivendo in un territorio privo di mezzi di comunicazione, la giovane messicana si allena correndo da un paese all’altro o spostando il gregge nei vari campi, usando come scarpe da ginnastica dei semplici sandali e come tuta la sua tunica tradizionale. A dispetto degli scettici, Lorena ha partecipato e vinto gare molto difficili, per la soddisfazione del papà, come lei runner e campione, al Guachochi Ultramarathon.
Passiamo alla seconda classificata. La medaglia d’argento è per Kathrine Virginia Switzer, la prima a partecipare alla Boston Marathon, riconosciuta all’epoca con il numero 261. Prima di parlarti di lei, tuttavia, devo fare una precisazione: devi sapere che fino al 1984 alle donne non era permesso partecipare ad una gara di lunga distanza perchè ritenute non idonee ad affrontare gare destinate agli uomini.
La storia di Kathrine è legata soprattutto al suo carattere, al suo modo di fare sempre controcorrente, il suo desiderio di scrivere e di correre, fin da piccola, senza soste, un comportamento osteggiato da tutti ma non dal padre che, al contrario, le consiglia di inseguire le sue inclinazioni. Mentre studia giornalismo all’università di Syracuse, Kathrine fa la conoscenza di un giovane maratoneta e accetta di farsi allenare con la segreta speranza di partecipare alla famosa maratona di Boston. Il 19 aprile del ’67, per nulla intimidita dalle regole,
Kathrine si presenta alla gara solo con il suo cognome, il 261 fisso sul petto, gli orecchini e il rossetto sulle labbra. Ha solo vent’anni ma un coraggio da leoni. Subito dopo lo sparo, alcuni atleti e molti giornalisti tra folla indicano la presenza della giovane in gara; alla notizia il direttore di gara Jock Semple, sceso dalla vettura che seguiva gli atleti, cerca di ostacolarla strattonandole la maglietta e cercando di toglierle il numero dal petto senza riuscirvi. Kathrine non si ferma e la storia ci rimanda il suo stupendo pensiero.
“Se mi fermo, penseranno che l’ho fatto solo per farmi pubblicità. Se mi fermo, tutte le donne si fermeranno, e di conseguenza sarà un grande passo indietro per tutte”.
La gara di Boston fu vinta da un neozelandese ma ciò che accadde è fermato nella sequenza fotografica scattata da Harry Trask, un giovane praticante del Boston Traveler, scatti che fecero il giro del mondo. Una gara apparentemente normale ma la si ricorda soprattutto per il coraggio di una giovane donna che, in barba alle regole, se pur tra gli insulti e i gesti minacciosi, riuscì ad esaudire il suo sogno.
Kathrine, non ha mai smesso di correre e di vincere prima come giornalista scrittrice e poi tagliando per la prima volta il traguardo nella maratona del ’74, Attualmente vive a New Paltz e con iI suo primo libro, Running and Walking for Women Over 40, ha venduto oltre 100.000 copie, nel 2007 ha poi scritto la sua storia in un bel libro Marathon Woman: correre la corsa per rivoluzionare lo sport femminile edito da Carroll e Graf. assolutamente da non perdere.
E ora la vincitrice. Premio con la medaglia d’oro ad Alice Joséphin Marie Milliat, straordinaria atleta e dirigente sportiva francese nata alla fine del ‘800 e considerata la “Passionaria dello sport.” Scoprirla è stato davvero una piacevole sorpresa e la sua biografia mi ha spinto ad immaginarla: forte dallo sguardo fiero, con una volontà di ferro, sicura di sé, con un coraggio incredibile tale da indurla a contestare perfino l’operato di De Coubertin.
Anche la storia di Alice è un grande esempio di libertà e lo dimostra il suo imporsi nelle scelte di vita. Siamo alla fine del ‘800 in un periodo in cui le donne non sono tutelate da nessun diritto, le viene riconosciuto il ruolo di madre ma non la partecipazione ad attività maschili come lo sport e la vita politica, viene consentito solo l’uso della bicicletta e del tiro con l’arco. Alice si sposa giovane ma molto presto rimane vedova e senza figli ma questo non la ferma, continua a studiare e partecipa ad attività sportive come il canottaggio con il quale vince anche molte gare.
Nel 1911 entra a far parte di Femina Sport, una società sportiva francese che promuove lo sport femminile, miscelando danza e sport, e inserendo tra le discipline anche rugby, ciclismo e il calcio. Nel giugno del 1918 viene nominata segretario generale della Société Feminine du Sport, e nel marzo 1919 viene eletta presidente all’unanimità, un ruolo fino ad allora ricoperto solo da uomini e in totale disaccordo con De Coubertin, contrario alla presenza delle donne alle manifestazioni sportive.
Alice non si ferma e nel 21 fonda la F.S.F.I. Federation Sportive Fèminine Internationale, organizza nel 1922 a Parigi, le prima Olimpiadi delle donne, Jeux Olympiques Féminins, tre giorni di sport con la sola partecipazione di atlete provenienti da Francia, Cecoslovacchia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti. ma le medaglie non verranno mai riconosciute ufficialmente.
Nel 1926 organizza in Svezia la seconda edizione dei giochi femminili chiamata “Women’s World Games“, riproposti a Praga nel 1930 e a Londra nel 1934. Finalmente nel 1929, ad Amsterdam, De Coubertin, piegato dalla resistenza della dirigente francese, permise alle atlete di gareggiare in cinque gare di atletica riconoscendo alle donne il diritto alla partecipazione olimpica.
Dal 1957 Alice Milliat è sepolta senza iscrizione nel cimitero Saint-Jacques de Nantes, e nessuno è veramente cosciente di ciò che ha rappresentato. Ricordarla è un gesto doveroso di gratitudine per i suoi sforzi e la sua tenacia nel restituire alla donna la sua identità, per aver difeso la sua e la nostra libertà. Se abbiamo il nostro posto al sole lo dobbiamo soprattutto a lei! Voi conoscere meglio questa incredibile eroina del novecento? Ti consiglio il libro di Serena Dandini, Il catalogo delle donne valorose edito da Mondadori, è davvero un interessante!
È arrivato il momento degli auguri, potrei augurarti di non smettere mai di leggere ma sarebbe troppo scontato e allora per il nuovo anno, ti auguro di cuore di pensare come Alice, inseguire i tuoi sogni come Kathrine e impegnarti al massimo ma con l’umiltà di Lorena!
Buon Anno e Buona lettura!!!