Cos’è la prima cosa che facciamo quando ci alziamo la mattina? Spegnere la sveglia, probabilmente, poi accendere la radio o la tv per fare colazione, magari, mentre scrolliamo i social per accertarci che non ci siano notifiche. Oggi il concetto di “filosofia del silenzio” ci sembra estraneo, tanto che sentiamo necessariamente il bisogno di riempire ogni attimo della nostra vita con qualche “rumore” che sia esso fatto di suoni, parole e immagini.
Per questo ho deciso di dedicare oggi il nostro appuntamento domenicale proprio alla filosofia del silenzio, tematica che è sempre stata parte centrale delle riflessioni di pensatori di ogni epoca e tradizione. Scopriamo insieme tutti i dettagli!
La filosofia del silenzio: una lunga storia
Sembrerà strano ma i filosofi di ogni epoca hanno riservato sempre una certa attenzione ai suoni del mondo e anche alla loro assenza. Tuttavia, lungi dall’interpretare il silenzio come un’assenza di suono o comunicazione, la filosofia del silenzio ci aiuta a raggiungere uno stato di contemplazione, di introspezione e di ricerca della verità.
Per Pitagora, ad esempio, il silenzio era una virtù d’oro che permetteva ai suoi discepoli non solo di custodire i suoi preziosi insegnamenti ma anche di riflettere su di essi e di interiorizzarli. Anche Platone, nel Fedone, adottava una sua “filosofia del silenzio”, inteso come una via per accedere alla conoscenza più alta, quella che emerge quando si va oltre il linguaggio e i sensi, accedendo a una dimensione più elevata di verità.
Nel misticismo cristiano, poi, il silenzio prende una valenza specifica legata alla ricerca dell’unione con Dio. Meister Eckhart, teologo e mistico tedesco del XIII secolo, ha spesso sottolineato come il silenzio interiore sia un presupposto per la conoscenza di Dio. In uno dei suoi sermoni afferma che «Non dobbiamo trovare Dio chiacchierando, ma in silenzio». Per Eckhart, il silenzio non è semplice assenza di parole, ma uno stato di quiete interiore in cui l’anima si svuota di ogni pensiero e desiderio terreno, permettendo a Dio di rivelarsi direttamente.
Questo concetto è magistralmente espresso anche da santa Teresa d’Avila, la grande mistica spagnola del XVI secolo. Nel suo capolavoro Il Castello Interiore, Teresa immagina l’anima come un castello composto da sette stanze che bisogna attraversare per congiungersi con Dio, che si trova nel cuore di questo castello. Per lei, il silenzio diventa il linguaggio con cui Dio comunica con l’anima, superando i limiti delle parole e del pensiero razionale. Scrive infatti:
Dio e l’anima si godono in altissimo silenzio. L’intelletto non deve fare né movimenti né ricerche. Chi l’ha creato vuole solo che si riposi e contempli le meraviglie che accadono davanti a lui.
È quando smettiamo di fare rumore, di lasciarci distrarre da tutto ciò che ci circonda che riusciamo davvero a percepire ciò che conta davvero. Anche tutta la filosofia orientale è intrisa di questa grande verità. Nel taoismo cinese, ad esempio, la filosofia del silenzio è rappresenta la via per accedere al Tao, l’ordine naturale e universale che governa l’universo.
Il maestro taoista Lao Tzu, nel Tao Te Ching, scrive: «Chi sa non parla, chi parla non sa». Il silenzio qui è espressione di una saggezza profonda e di un’armonia con la natura e l’universo, contrapposta alla superficialità del linguaggio e della mente razionale.
Il silenzio oggi: un nemico o un alleato?
Oggi, invece, sembra che abbiamo dimenticato il valore del silenzio, anzi ne siamo quasi spaventati. Quando camminiamo abbiamo sempre la musica nelle orecchie, se abbiamo un attimo di tempo libero lo riempiamo con film, chiacchiere, o con ripetuti scroll sui social. Non solo, sembra quasi che chi tace sia malvisto nella società odierna dove bisogna avere necessariamente un’opinione e dove, siamo sempre chiamati, anzi quasi costretti a dire qualcosa.
Nel suo libro La tirannia del rumore, il sociologo Murray Schafer sottolinea come il silenzio sia diventato una risorsa scarsa nelle società moderne, dove il bombardamento continuo di suoni e informazioni rischia di soffocare la nostra capacità di riflettere profondamente. Alla luce di questo, adottare una filosofia del silenzio può avere una funzione terapeutica e rigenerativa, non solo a livello individuale ma anche collettivo. Nella meditazione, nella preghiera o semplicemente nell’atto di spegnere i dispositivi digitali, possiamo trovare uno spazio per riconnetterci con noi stessi e con il mondo.
Il silenzio, infine, non è sinonimo di passività o di incapacità d’azione e di pensiero ma può essere visto come un’opportunità per sfuggire alla superficialità che spesso caratterizza il dibattito pubblico odierno. Nel mondo contemporaneo, dove il dialogo è spesso ridotto a slogan e comunicazioni veloci, il silenzio ci offre la possibilità di un ascolto più autentico ed attento e, di conseguenza, anche di un pensiero e di una riflessione più ponderate.
Insomma, in un mondo che non smette di parlare, imparare a fare silenzio potrebbe essere la chiave per riscoprire ciò che conta davvero. Perché, come dice il detto, oggi più che mai attuale: Il silenzio è d’oro e la parola d’argento.