“La dignità non va calpestata”, sono le parole di Papa Francesco, nella consueta udienza del mercoledì. Così attestava, con la semplicità e la schiettezza che gli è congeniale, estendendo lo sguardo ai tragici fatti di oltreoceano che, immersi come siamo nelle urgenti questioni di casa nostra, stanno passando quasi inosservati come se non riguardassero tutti noi, indistintamente.
La dignità calpestata, uccisa, ammazzata assieme alla vita di un uomo che implora pietà sotto il ginocchio di un suo simile in divisa, con un diverso colore di pelle, che sembra non averne affatto. Lo so è un’immagine cruda, violenta, di quelle che quando le vedi, nei vari telegiornali, ti giri dall’altro lato perché non puoi sopportarne la visione. Eppure è realtà. Una realtà che sembra irreale, sembra quasi finzione scenica. E invece non lo è.
E allora ti chiedi dov’è la dignità. Ti chiedi dove l’abbiamo relegata, nascosta, celata, dimenticata, lasciata perdere. Ti chiedi se l’evoluzione umana ha generato uomini o bestie, ti chiedi se la pietà esiste ancora o abbiamo rimosso anche quella, distratti dalla fatuità di falsi bisogni mentre gettiamo uno sguardo indifferente su coloro che il bisogno lo vivono quotidianamente con dignità.
E la calpestiamo quella dignità, la mettiamo sotto le ginocchia, sotto i piedi, sotto gli scarponi, siamo esattamente come quel poliziotto incurante e indifferente alle implorazioni di George Floyd. Io, tu, noi tutti, malati di indifferenza, siamo quel poliziotto quando restiamo sordi e ciechi al grido di dolore che arriva dalle dignità calpestate, di fronte ai diritti negati, di fronte ad un uomo, nero bianco, giallo o rosso, che implora aiuto o rivendica la sua dignità.
È la mia faccia, amico/ non ho fatto nulla di grave, amico/ ti prego/ ti prego/ ti prego non riesco a respirare/ ti prego amico/ qualcuno mi aiuti/ non riesco a respirare […]
Ho esitato nel riportare queste parole. Le ho lette quasi per caso in uno dei miei giri in rete. Ho esitato perché la loro verità è uno pugno in piena faccia, uno sputo alla dignità e all’umanità intera. Qualcuno (non sono riuscita a trovarne l’autore) ha tradotto in cruda poesia l’agonia di un uomo: avrei preferito non leggere, forse anche tu che stai leggendo preferiresti avere sotto gli occhi qualche cosa di più leggero, qualcosa che anestetizzi i pensieri e non induca a riflettere. Eppure non si può ignorare, non si può far finta di niente su quanto accade nel mondo, anche se lontano da noi. Non ci si può voltare dall’altro lato quando c’è di mezzo la dignità negata.
La dignità non si calpesta…
… Come non si calpesta, non si soffoca e non si uccide a ginocchiate un uomo in nome di uno Stato, quell’America che ha abortito il suo sogno di libertà e di uguaglianza per ogni essere umano, in nome di un “sovranismo demenziale” più feroce del suo leader che ostenta i muscoli ai quattro venti. Se è vero che un politico, un capo di Stato, è espressione del popolo che gli ha dato fiducia, c’è da fermarsi e riflettere, e poi ri-fermarsi e ri-riflettere ancora e ancora su dove stiamo andando, su come stiamo trattando la dignità nostra e quella dei nostri simili.
Ci eravamo illusi (personalmente tanto), avevamo pensato e sperato che la reclusione forzata a causa del Covid19, ci avrebbe reso migliori, più umani, più sensibili: niente di più illusorio. Non siamo migliori, siamo solo più incattiviti, indifferenti e chiusi nei nostri egoismi. E mentre tutti abbiamo bisogno di un soffio di speranza che tolga la polvere dai grandi valori che dovrebbero accomunare l’umanità, un respiro che abbraccia tanti che alita sugli animi di chi ha a cuore la dignità umana, un uomo muore ammazzato da un altro che gli toglie il fiato con un ginocchio alla gola.
Ho visto e rivisto quelle immagini. E ho avuto bisogno di tempo. Per pensare. Per riprendermi dallo shock di una violenza di tale portata. Come potrei mai spiegare alle mie figlie quanto successo? Con quali parole? La verità è che non le ho trovate. Nessuna risposta. Solo una domanda, forte quanto la vita strappata a George Floyd: perché? Come è potuto succedere? Perché la storia si ripete? Tantissimi gli hashtag “le vite nere contano”: quanto hai appena letto sono parole tratte, appunto, da un hastag letto in rete ma è assurdo realizzare che c’è bisogno di un hastag per comprendere che tutte le vite contano, ogni vita di ogni singolo uomo conta, bianco, colorato, bambino, uomo o donna che sia.
Non è bianchi contro neri, non è tutti i poliziotti contro tutti i civili, è l’umanità contro la disumanità, È la voglia di giustizia contro un sistema corrotto. È il desiderio profondo che ogni individuo abbia integra, intatta ed inalienabile la sua dignità di persona.
Se poi apprendi la notizia che il reporter della CNN, che ha filmato e diffuso le immagini di tutta la vicenda, è agli arresti, allora sì, davvero resti interdetta, davvero la nausea dalla bocca dello stomaco dilaga e invade tutti gli organi interni e non puoi che solidarizzare con i manifestanti, di cui giornalmente arrivano le immagini attraverso i telegiornali. E se il potere utilizza quelle immagini per giustificare la repressione e l’arresto di diecimila persone, davvero pensi che la dignità è più che calpestata: è sconfitta, cancellata, rimossa.
A difesa della dignità
Faccia a terra e silenzio per 8 minuti e 46 secondi. Lo stesso tempo che è bastato per soffocare la vita di George Floyd. La risposta silenziosa mostra quanto sia profondo il sentimento che sta attraversando la società americana. E oggi, domenica 7 Giugno sono ritornati a manifestare silenziosamente, con le distanze di sicurezza, il pugno alzato, nel rispetto delle regole imposte dalla pandemia. A dimostrazione che la dignità non è violenza nè verbale, nè fisica…
… Mentre il resto del mondo continua a guardare i telegiornali e le notizie che arrivano da oltreoceano come se tutto questo non lo riguardasse da vicino, come se la dignità, qualsiasi tipo di dignità, fosse un argomento avulso dalle problematiche attuali e il problema non fosse di tutti e di ciascuno.