La caduta degli immutabili di Giovanni Campana, edito da Europa Edizioni è un libro complesso, un testo certamente interessante e che richiede, per certi aspetti, un intelletto votato alla filosofia.
La caduta degli immutabili: Pietro di Terralta e il suo lungo viaggio alla ricerca della verità
La cover ci mostra quelle che sono delle montagne un po’ particolari, costellate da nomi; scorgiamo in cima ad una di esse la sagoma di un uomo a cavallo.
La caduta degli immutabili ci narra la storia di Pietro di Terralta, uomo dotto e sapiente, di fine ed erudita cultura, un uomo dai modi così chiusi e riservati da essere detto il monaco.
Pietro partirà per un lungo viaggio attraverso paesi di un immaginoso settentrione italico del XV secolo alla ricerca della verità spesso bistrattata, mal interpretata, di sovente incastrata fra la perenne lotta tra il male e il bene, tra i poveri che cercano di spodestare il potere posto nelle mani dei soli ricchi.
Durante il suo cammino, l’uomo, però, farà un incontro che – in un certo qual senso – modificherà il senso originario del suo stesso viaggio. Un incontro – fortuito o che il volere del destino ha posto innanzi al suo cammino – che lo farà riflettere e che lo condurrà ad affrontare peripezie intellettuali e non.
Il testo presenta inizialmente una nota dell’autore, che lui chiama avvertenza, in merito al manoscritto che ci si appresta a leggere. Esso è suddiviso in cinque parti, ciascuna di esse a sua volta presenta dei capitoli che recano, quali titoli, i nomi delle città immaginarie che il colto Pietro visiterà. Ci sono anche dei sottotitoli.
Ogni paese induce il nostro protagonista a disquisizioni filosofiche importanti.
La narrazione non presenta alcun dialogo, questa si svolge in terza persona e qualsiasi accenno ad una possibile conversazione viene riportata in modo indiretto.
Spesso, il nostro protagonista si spende in lunghi monologhi interiori che bisogna seguire con attenzione.
Per quel che riguarda il linguaggio utilizzato, giova soffermarsi un po’ di più su questo aspetto.
Ebbene, la terminologia è piuttosto articolata, degna di una persona proprio erudita. Una scrittura per certi versi antiquata ma sempre di un’eleganza impagabile.
L’autore, invero, nella nota iniziale spiega il motivo per il quale ha voluto mantenere quasi intatto il linguaggio originario del testo: concordo pienamente con Giovanni Campana nel ritenere che, verosimilmente, la stesura di questo romanzo con quella che è la nostra scrittura attuale avrebbe di certo perso quel sapore antico e di sapere che trattiene in sé, benché forse certi termini siano oggi desueti.
Proprio per tale ragione, però, la concentrazione richiesta da questo testo è necessariamente elevata. Devi seguire con attenzione il filo conduttore che in certi punti risulta più scorrevole, mentre in altri ha bisogno di tutta l’attenzione possibile.
Ciò è anche dovuto, almeno in parte, anche al fatto che si incontrino dei periodi piuttosto lunghi benché interrotti da segni di interpunzione quali le virgole.
Per redigere un testo del genere bisogna possedere non solo un’ottima proprietà di linguaggio, ma finanche delle conoscenze della filosofia, della dottrina ed anche delle religione non indifferenti.
La caduta degli immutabili: riusciremo mai a comprendere cosa è davvero la verità?
Pietro di Terralta è il nostro protagonista indiscusso. Attorno a lui, però, gravitano numerosi personaggi di un certo spessore e sui generis sia nel loro essere che nei loro nomi.
Due personaggi in particolare hanno catturato la mia attenzione: Fioregia, una giovane ragazza, nemmeno donna ancora, costretta ad usare il corpo quasi fosse un oggetto, in balìa di quella che potremmo definire come gente senza ritegno e senza scrupoli, neppure dinanzi ad una giovinetta che dalla vita ha avuto solo sofferenza e mai serenità.
«Il nome di lei, Fioregia, bello, com’egli osservò, e pieno di festosa leggerezza.»
Il secondo personaggio è Giustino: un ragazzo che rasenta la Santità tanto è buono, tanto è capace di compenetrarsi nelle sofferenze di Nostro Signore Gesù Cristo; vessato da un uomo di chiesa, piuttosto che patire di questi ingiusti supplizi, egli ne era pieno di gioia perché sapeva che così sopportando, la sua anima sarebbe stata vicina a quella di Cristo.
«Non voleva egli perdere l’immenso privilegio dell’abitare il luogo ove soffre Dio stesso ogni peccato e ogni dolore.»
Non è stata una lettura semplice, lo ammetto. Non è un libro per tutti. Questo testo è ideale per coloro che sono studiosi della filosofia, che si pongono domande esistenziali, che cercano di capire il profondo significato delle parole. Nel caso del nostro testo, della verità.
Io, che non sono avvezza di filosofia, ho avuto qualche difficoltà. Non riuscivo a leggere più di qualche pagina al giorno, perché, come detto, ogni pagina ha richiesto una giusta concentrazione… probabilmente un sapiente in filosofia avrebbe divorato il libro in men che non si dica.
V’è da dire però che è un testo molto interessante, le argomentazioni sono degne di profonde riflessioni.
Si va avanti a suon di discorsi di profonda cultura e levatura morale sulla lotta tra il male e il bene, sui Poverelli che in un moto di ribellione si scagliano contro quello che è il potere, cercano di sovvertirlo per acclamare la Giustizia dei Poverelli.
Benché siano discorsi ambientati nel XV secolo, non sono poi così lontani da quella che è la realtà odierna: anche la stessa verità e ricerca della stessa, la giustizia che si brama, sono tutti argomenti sui quali oggi stesso ci si interroga.
In fondo cos’è la verità? Lo scopriremo mai?
«…veramente credere, veramente dubitare, poiché in quel veramente abita e vive la verità»