Nel mondo di oggi funestato da guerre, insurrezioni, terrorismo, crisi politiche e sociali, non sembra esserci spazio per qualcosa di effimero e “poco pratico” come la filosofia. Eppure è proprio dalla filosofia, cioè dalla riflessione, dal dibattito e dal confronto che bisognerebbe partire per tentare di risolvere tutte queste problematiche che ci affliggono.
Lo sa bene John Rawls, uno dei più rappresentativi filosofi del Novecento, che ha speso gran parte della sua esistenza a fare della filosofia una delle più affilate “armi” di combattimento del mondo moderno. Per questo, nel numero di oggi di Filosofiamo ho deciso di parlarti del suo pensiero in merito a giustizia e guerra, una riflessione, la sua, oggi più che mai indispensabile.
La teoria della giustizia
John Rawls nasce a Baltimora, negli Stati Uniti, nel 1921. L’evento che segnò la sua esistenza fu certamente la Seconda Guerra Mondiale, cui partecipò come soldato, prendendo parte a numerose spedizioni soprattutto in Oriente e questo lo rese uno dei primi testimoni degli eventi più tragici della guerra, come il bombardamento di Hiroshima. Dopo aver assistito a tali assurdità si ritirò dall’esercito e riprese a coltivare i suoi studi filosofici fino ad arrivare a conseguire un dottorato in filosofia morale per poi insegnare in alcune tra le più prestigiose università europee come Oxford e Cambridge.
La sua opera più famosa è certamente Una teoria della giustizia, che ancora oggi è considerata una dei capisaldi della filosofia politica moderna. In quest’opera Rawls cerca di delineare i principi alla base di una società giusta ed equa. Per arrivarci, riallacciandosi alla tradizione dei contrattualisti, immagina di essere in una società originaria dove tutti i cittadini siano sotto un «velo di ignoranza», ignorano cioè la propria posizione sociale, il proprio status economico, le proprie abilità pratiche e intellettuali ecc… Insomma, tutti sono sostanzialmente uguali agli altri.
Partendo da questa condizione di ignoranza e di uguaglianza, e nel voler costruire una società giusta per tutti, ognuno sarebbe certamente portato a concordare su due principi di base:
- «Ogni persona ha un uguale diritto alla più estesa libertà fondamentale, compatibilmente con una simile libertà per gli altri». Tutti, in sostanza, sono liberi e godono degli stessi diritti (per Rawls sono quelli di voto, di parola e riunione, quello di pensiero, quello personale e di possesso di proprietà personale)
- «le ineguaglianze economiche e sociali, come quelle di ricchezza e di potere, sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ciascuno, e in particolare per i membri meno avvantaggiati della società». Le disuguaglianze sociali ed economiche, cioè, possono esistere ma solo se servono ad aiutare le fasce più deboli della popolazione.
Ad esempio, è necessario che tutti paghino le tasse ma è giusto che i più ricchi ne paghino di più rispetto ai meno abbienti. Perché, come sostiene Ralws, «Il fatto che alcuni abbiano meno affinché altri prosperino può essere utile, ma non è giusto».
Solo a partire da questi due principi di fondo, quindi, si può realizzare una società veramente giusta in cui le istituzioni si impegnino a garantire le libertà fondamentali di ognuno e a tutelare il benessere di tutti ma con un occhio di riguardo per i più bisognosi.
John Rawls e la guerra
Ma Rawls non si ferma a tratteggiare i contorni di una società ideale o di uno Stato giusto, ma cerca di estendere la sua teoria della giustizia anche su scala globale e al livello internazionale. Avendo vissuto in un periodo turbolento contraddistinto da un conflitto mondiale ma anche dal successivo periodo di tensione della Guerra Fredda, per Rawls la filosofia poteva giungere in aiuto anche per osservare da un punto di vista diverso quei fenomeni come la guerra e i conflitti che, pure, occupavano un posto così spiacevolmente importante al suo tempo (e non solo).
La posizione di John Rawls sulla guerra è espressa in uno dei suoi ultimi scritti dal titolo Il diritto dei popoli. Qui Rawls non rifiuta in blocco il concetto di guerra ma la legittima solo e soltanto nei confronti degli “Stati fuorilegge”, quegli stati, cioè, che sono venuti meno a quei principi su cui dovrebbe essere strutturata una società giusta. Se uno Stato infrange i dritti dei propri cittadini, è dunque da considerarsi fuorilegge.
Secondo il filosofo, però, se tutti gli Stati rispettassero i principi della sua teoria della giustizia non ci sarebbe bisogno delle guerre, poiché ognuno, proprio per tutelare i propri cittadini, risolverebbe le proprie questioni attraverso il dialogo e non con la violenza che, inevitabilmente, finirebbe per gravare proprio sui più deboli. L’unica “guerra giusta”, per Rawls, è quella condotta per tutelare il rispetto dei diritti umani. Eppure oggi, dinanzi alle immagini e agli orrori che quotidianamente vediamo sui giornali, sul web e intorno a noi verrebbe da chiedersi se, in fondo, esiste davvero una guerra che in qualche modo possa definirsi veramente “giusta”.
In conclusione, il pensiero di Rawls non fornisce risposte definitive, ma offre uno schema etico e filosofico che può aiutarci a valutare meglio le nostre azioni e quelle dei governi. La sua riflessione sulla guerra e sulla giustizia ci invita a guardare oltre gli interessi nazionali e personali, spingendoci a considerare l’equità e il rispetto della dignità di tutti i popoli come valori universali e irrinunciabili. E chissà magari, un giorno, una società giusta così come è descritta dal filosofo americano, senza guerre ed oppressioni di nessun tipo, vedrà davvero la luce.