L’altro giorno passeggiando su Instagram mi sono imbattuta in un carousel della casa editrice Iperborea, a proposito del nuovo libro di Andri Snær Magnason: Il tempo e l’acqua. Iniziava con un’immagine dalla grafica lineare in cui c’era scritto “Le parole sono importanti”. Ogni volta che sento o leggo questa frase mi viene subito in mente quella magnifica scena tratta dal film di Nanni Moretti Palombella rossa, e il libro di Marco Balzano. Continuando a scorrere tra le immagini del carousel ho scoperto che le parole usate per esprimere il concetto di malinconia nelle lingue sorelle faroese e islandese sono: sorgblíðni, letteralmente tenerezza nel dolore e angurværð, quiete nell’affanno. Ne sono rimasta affascinata.
La Treccani definisce melanconia (o malinconia) come “stato psichico caratterizzato da un’alterazione patologica del tono dell’umore, con un’immotivata tristezza, talora accompagnata da ansia, e con inibizione di tutta la vita intellettuale”. Tra le ricerche correlate appare anche saudade, quel “sentimento di nostalgico rimpianto, di malinconia e solitudine, accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente”. E potrei continuare a lungo, sviscerando di volta in volta sfumature che danno corpo a sensazioni diverse, uniche.
In un’altra pillola tratta sempre dal libro Il tempo e l’acqua, ho ritrovato questa frase: che tu possa vivere in tempi interessanti. È la seconda volta che mi balza all’occhio. La prima è stata l’anno scorso. May You Live In Interesting Times era il titolo della cinquantottesima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.
In entrambe le occasioni la mia prima sensazione è di positività. Nella mia mente, quel “interessanti” significa non noiosi e io sono una persona che si annoia facilmente. Quindi, quale miglior augurio per me se non quello di vivere in tempi dove non ci si annoia mai? In realtà, sembra che questa sia invece una maledizione e che il termine “interessanti” sia associato a complessi. Altrettanto stimolanti, quindi, ma non lo definirei proprio un augurio.
Ma che cos’hanno in comune questi due concetti – le parole sono importanti e tempi interessanti?
Il libro Il tempo e l’acqua racchiude in sé un nuovo modo di parlare delle grandi questioni ambientali di questi anni. I dati scientifici, infatti, vengono immersi in un comune patrimonio culturale per dar loro sostanza, in un mondo in cui le cassandre del clima non hanno più presa. Non fraintendermi. Nel mio percorso lavorativo mi sono occupata per anni di comunicazione della scienza e le questioni ambientali sono un problema reale e urgente.
Contemporaneamente, però, mi rendo conto che gli appelli allarmanti che fanno riferimento al verificarsi di drastici eventi in un lasso di tempo futuro in cui molti di noi sanno già di non esserci più, hanno poca presa. E questo non solo impedisce l’azione, ma aumenta anche il pessimismo, generando una pericolosa spirale di passiva accettazione. A questo proposito, mi viene in mente un articolo di un paio di anni fa sul magazine scientifico OggiScienza dal titolo I cambiamenti climatici sono già qui, ed è la chiave per comunicarli meglio della giornalista scientifica Eleonora Degano.
Non ho ancora letto Il tempo e l’acqua, e quindi non posso mettere la mano sul fuoco sul fatto che possa essere una lettura che procede lungo queste rotte. Da quello che ho letto finora, però, le aspettative sono davvero alte.
Il tempo e l’acqua, di Andri Snær Magnason
«Se le previsioni degli scienziati si rivelano esatte sul futuro degli oceani, dell’atmosfera e del clima, dei ghiacciai e degli ecosistemi delle coste di tutto mondo, dobbiamo chiederci quali parole potranno contenere questioni di tale portata. Quale ideologia può includerle? Che cosa dovrò leggere?»
«La letteratura ecologista ha trovato una nuova voce: Andri Snær Magnason, che con una prosa lucida ed essenziale unisce meraviglia, rigore scientifico e umorismo. Uno scrittore grandioso.» – The New York Times
«Il figlio nato dall’amore tra Noam Chomsky e Lewis Carroll.» – Rebecca Solnit
«È con la forza delle parole che l’islandese Andri Snær Magnason combatte il cambiamento climatico.» – The Guardian
L’Okjökull, un ghiacciaio che da tempi immemorabili si ergeva su quasi venti chilometri quadrati di suolo islandese, oggi è una misera striscia di ghiaccio inerte, e nei prossimi duecento anni potrebbero essere dichiarati morti anche tutti gli altri ghiacciai dell’isola. Ma prima di allora, sulla terra intera, i nostri figli e nipoti vivranno già in un ambiente molto diverso da quello di innumerevoli generazioni del passato: l’aumento delle temperature e del livello dei mari e lo stravolgimento chimico delle loro acque provocati dalle attività umane avranno distrutto ecosistemi millenari, potenziato uragani e inondazioni, eroso terre abitabili e coltivabili e costretto a migrazioni di massa le specie viventi, compresa la nostra.
E allora perché restiamo immobili, o quasi? Forse perché quei cento o duecento anni non li sentiamo così vicini, e perché gli appelli allarmati degli scienziati sul «riscaldamento globale» o sulla «acidificazione degli oceani» non riescono a toccarci cognitivamente ed emotivamente: resteranno rumore bianco finché il passato collettivo, i miti, la fantasia non consegneranno loro un’anima, consentendoci di interiorizzarne un’immagine e un significato. È questo il compito che si è dato Andri Snær Magnason, un narratore che alla scienza e all’attivismo ambientale ha dedicato la vita.
Intrecciando storie di famiglia, conversazioni future tra figlie e pronipoti, interviste al dalai-lama, incursioni nella poesia scaldica e in quella romantica, scoperte di nessi inaspettati, come quello tra Auðhumla e Kamadhenu, mucche ancestrali di mitologie tra loro lontane, Il tempo e l’acqua «racconta» i dati scientifici, li immerge nel patrimonio culturale comune per investirli di senso, e aiutarci a fare un piccolo passo più in là.
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