Sono passati più di trenta anni da quando, nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1993, il boss di Altofonte Antonino Gioè venne ritrovato morto nella sua cella di Rebibbia. Quella di suicidio resta, ad oggi, la motivazione ufficiale dietro il gesto estremo del boss eppure, a distanza di anni, le dinamiche dell’incidente non sono ancora chiare.
A gettar luce su questi eventi è Il mistero sul caso Gioè, un libro scritto dal giornalista Aaron Pettinari, caporedattore del giornale AntimafiaDuemila, disponibile dal 21 giugno in edicola e online come allegato della Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera.
Ripercorriamo insieme i punti salienti di questa intricata vicenda.
Antonino Gioè, il boss di Altofonte
Nato ad Altofonte, in provincia di Palermo, il 4 febbraio 1948, Antonino Gioè entra a far parte della cosca guidata dal cugino, Francesco Di Carlo, nel 1976. Venne arrestato per la prima volta nel 1979, accusato di omicidio, traffico di droga e detenzione di armi da fuoco. Nel suo appartamento, inoltre, la polizia ritrova numerose informazioni che collegano la famiglia di Altofonte con le principali organizzazioni criminali del paese, tra cui Cosa Nostra, Corleone e persino la Camorra.
Alla fine degli Ottanta, però, Gioè viene rilasciato e ciò gli permette di scalare in fretta i ranghi di Cosa Nostra sino a raggiungerne i vertici. Divenne infatti il capo della cosca di Altofonte ed era strettamente a contatto con molti altri mafiosi locali e non solo. Il prestigio raggiunto nelle gerarchie malavitose gli ha permesso, probabilmente, di prendere parte a due degli eventi che hanno maggiormente segnato la storia del nostro paese: la strage di Capaci e quella di via d’Amelio.
Dalle indagini svolte emerse che fu proprio lui a confezionare e posizionare le cariche di esplosivo all’interno del cunicolo dell’autostrada in cui si consumò la strage. Anzi, il 23 maggio 1992, fu sempre lui, dalla sommità di una collina nei pressi dello svincolo di Capaci, a dare il segnale a Giovanni Brusca, altro boss mafioso, per far esplodere gli ordigni che causarono la morte del giudice Giovanni Falcone, sua moglie e due membri della sua scorta personale. Nel marzo 1993, dopo diversi mesi di intercettazioni, Antonino Gioè viene arrestato e imprigionato nel carcere di Rebibbia. Il suo soggiorno, però, sarà breve perché pochi mesi dopo il suo corpo viene ritrovato senza vita nella sua cella.
Il mistero sul caso Gioè
Nel suo libro il giornalista Aaron Pettinari non solo delinea con straordinaria precisione il “profilo criminale” di Antonino Gioè, ma mette insieme tutti gli indizi e i punti oscuri relativi alla sua morte che non convinse mai del tutto le autorità.
Gioè si tolse la vita impiccandosi alle sbarre della finestra della sua cella. Tuttavia, i segni e le ferite riportate sul suo corpo hanno sin da subito evidenziato dei dubbi. I segni sul collo non sembravano quelli di una persona che si è tolta la vita, così come gli ematomi visibili sul volto e sul torace. C’era inoltre una strana lettera in cui Gioè cercava di confutare quanto emerso dalle precedenti intercettazioni.
Il caso venne rapidamente bollato come suicidio e gli accertamenti che ne seguirono troppo lapidari e frettolosi. Pettinari mette in fila tutte queste strane coincidenze e tutti gli elementi poco chiari della vicenda nel tentativo di rispondere ad alcune spinose domande: perché il boss Antonino Gioè avrebbe dovuto togliersi la vita? O, se si scarta l’ipotesi del suicidio, chi avrebbe potuto eliminarlo e soprattutto perché?
Domande non semplici cui il giornalista tenta di venire a capo attraverso una serie di meticolose ricostruzioni e ad alcune lucide ed illuminanti riflessioni sulla situazione generale di quegli anni. Non è un caso, ad esempio, che il boss di Altofonte sia morto solo pochi giorni due nuovi attentati a Milano e Roma. Inoltre, all’epoca erano ancora in corso le indagini per le stragi di Capaci e via d’Amelio. Sembra plausibile, dunque, che Gioè, che in quelle stragi aveva avuto un ruolo primario, avesse iniziato a ventilare la possibilità di collaborare con la Giustizia, cosa che i vertici delle sfere mafiose, evidentemente, non potevano permettersi.
Ma chi è il mandante allora? E quali segrete avrebbe potuto rivelare Antonino Gioè? Segreti a cui Aaron Pettinari cerca di venire a capo, nella consapevolezza, tuttavia, che almeno per il momento siano destinati a rimanere tali.