Il mediano di Mathausen di Francesco Veltri è la seconda lettura sulla shoah ricevuta da Diarkos. Un libro dove lo sport si scontra e viene contaminato dalla politica, quella più bieca e distruttiva. Come per Arpad Weisz, l’allenatore di cui ti ho parlato nella mia precedente recensione, anche la vita di Vittorio Staccione, “il calciatore socialista”, terminerà in uno squallido campo di concentramento
Il mediano di Mathausen il talento di un giovane di periferia
Non si tratta di spoilerare la fine di una storia qualsiasi, le storie che raccontano la shoah si differenziano solo nel percorso o nella loro evoluzione ma sono tutte legate da uno destino comune, il più tragico che possa capitare ad un uomo.
In questo caso, oltre alla cover del libro prettamente sportiva, è il titolo a svelare da subito il destino di questo giovane ragazzo torinese di umili origini, dal cuore generoso e una ingenuità in contraddizione con i tempi.
Eraldo Pecci, ex calciatore di Bologna, Torino e della Nazionale, nella prefazione del libro lo descrive come un uomo buono e ingenuo come lo sono molti sportivi e non potrebbe essere altrimenti. Il ragazzino che gioca tirando calci ad un pallone è ancora un sognatore, non sa quanto la vita gli porterà in dono e quanto invece gli sarà tolto. Decisamente troppo anche per un uomo giusto puro e forte dal grande spessore umano e morale.
Senza dubbio, l’appassionata penna di Veltri, sollecitata dal pronipote del grande calciatore, riesce ad animare il percorso di vita di un uomo che dello sport aveva fatto il principio dell’esistenza stessa. Vittorio Staccione è nato per fare il calciatore ma per uno come lui, lo stadio lo si può guardare solo da lontano, vive nel ghetto di una città che isola, emargina, non da troppe speranze.
“Si corre nel fango senza meta senza pensare al tempo che passa. Si suda, si ride e in mezzo a quelle creature che la nebbia rende indefinite, è difficile pensare che possa esserci qualcuno in grado di ventare un giorno il beniamino di migliaia di tifosi”
Eppure quel ragazzino all’apparenza fragile,è, al contrario, forte, determinato, si scarta bene tra le pozzanghere di Madonna di Campagna e questo basta perché qualcuno lo osservi incuriosito. Basta quello sguardo a trasformare il giovane sognatore nel mediano del Torino calcio, capace di esaltare chiunque lo vedesse in azione. Il suo non sarà certo un percorso facile, anzi ci vorranno dieci anni prima di “fare il grande salto” nella prima squadra guidata all’epoca dal tecnico Sturmer.
Siamo nel 1924 si sviluppano correnti rivoluzionarie contrarie alle nuove ideologie oppressive e Vittorio le respira a pieni polmoni, lotta tra le quinte delle fabbriche in fermento contro chi la dignità la vuole calpestare.
Il mediano di Mathausen. Il destino del calciatore tra successi e grandi dolori
Veltri, da bravo giornalista ed esperto di politica e soprattutto di calcio descrive il giovane calciatore come un lottatore dal forte carisma due doti che nel calcio che conta sono indispensabili. L’eco delle sue performance arriva negli ambienti più importanti. Vittorio accetta le lusinghe di ambienti altolocati come la Fiorentina Calcio, respira l’atmosfera delle grandi occasioni, è acclamato, osannato, trattato con i guanti di velluto. E lui ricambia con la stessa moneta, lotta e vince sul campo e la vita lo premia dandogli l’amore della sua vita, una donna che lo porterà dal Paradiso alla disperazione più cupa.
Ci vuole poco per ritornare a giocare nella pozzanghera da cui si è usciti. Il percorso agonistico di Staccione segue una diagramma in discesa, da Firenze si ritrova in Calabria a Cosenza dove a fatica, ma lottando, cerca di riprendersi gli spazi e la gloria perduta. Il ritorno a Torino lo vede, sempre più smarrito, svuotato, deluso più che dagli altri da se stesso ma lo sguardo non è mai indifferente alle ingiustizie della realtà che scorre impetuosa ed è ormai difficile da vivere.
“Vittorio non vuole sentire ragioni, crede davvero in quello che sta facendo, è fermo nelle sue convinzioni e nei suoi ideali e più passa il tempo più comprende che sarebbe da codardi accettare passivamente di sottostare a un governo tanto dispotico e spietato. Un governo che non ha mantenuto le promesse di rilancio del Paese e che, anzi, sta usando selvaggiamente il suo potere strappato in modo ignobile per interessi propri e non per quelli della povera gente”
La parte finale del libro è particolarmente toccante, rielabora l’ultima tragica fase della vita di Vittorio Staccione, considerato ormai un attivista politico a tutti gli effetti e come tale oggetto di minacce e ritorsioni. In un momento storico dove l’onesta intellettuale e la generosità d’animo viene cancellata dalla crudeltà della guerra, la nobiltà d’animo di Vittorio diventa una trappola senza via d’uscita.
“Dove andrai farà molto freddo, se vuoi puoi tornare a casa da solo e prendere qualcosa per te”
Non è facile vedere il male quando questo passa attraverso le parole di un amico. La libertà di Vittorio Staccione finirà sul vagone n. 34 insieme a altre 563 persone spedite dopo un viaggio lungo una settimana nel campo di concentramento di Mathausen.
È certamente una esperienza di lettura che non lascia indifferenti. La collaborazione con Federico Molinaro, pronipote del calciatore, ha certamente permesso all’autore di ricostruirne i passaggi fino alla sua morte. In ogni caso, ho apprezzato lo stile narrativo del racconto, il linguaggio è scorrevole, approfondisce gli aspetti psicologici del protagonista.
Indubbio che il memoriale colpisce per le sue verità, coinvolge, si nota la profonda ricerca, è arricchito da un reportage fotografico all’interno.
Nei ringraziamenti Veltri ricorda come la storia gli sia piovuta dal cielo nel momento peggiore della sua vita. Chissà, forse scriverla, è stato l’occasione giusta per comprendere e ricordare a noi tutti il senso vero della vita.