Immagina, amico iCrewer, di mangiare un dessert buonissimo. Uno di quelli al cucchiaio che deliziano il palato. Pensa alla sensazione che provi quando arrivi alle ultime cucchiaiate e già senti la mancanza di quel sapore, o ancora meglio, già pianifichi nella tua testa la prossima volta che ti concederai quel peccato di gola. Ora pensa a un bel pezzettino di cioccolato nascosto nell’ultimo boccone, alla gioia di quella sorpresa finale arrivata quando ormai pensavi che fosse tutto finito. Il giorno dell’abbandono di Giulia Landini mi ha regalato proprio quell’emozione lì.
Un romanzo che è una delizia.
Uscito nello scorso mese di novembre per Edizioni Convalle, la casa editrice gestita dalla scrittrice Stefania Convalle.
Il giorno dell’abbandono: il romanzo di Giulia Landini
Dopo una introduzione del genere, mi sembra superfluo e scontato dire che Il giorno dell’abbandono mi è piaciuto tantissimo. Si tratta di un romanzo in cui a farla da padrone è l’amore. Non quello delle relazioni, delle storie di grande passione o delle favole romantiche, bensì quello che lega indissolubilmente una madre al proprio figlio. Che poi… ma davvero si può catalogare l’amore?
Come si evince dal titolo, il tema trattato è quello dell’abbandono. Conosciamo, grazie alla penna sapiente della giovane autrice toscana Giulia Landini, le tribolazioni di una ragazza madre, con una vita parecchio complicata, costretta a ricoverarsi in un istituto per donne in difficoltà dove, però, non è tutto oro quello che luccica.
I pezzettini del puzzle vengono mischiati benissimo dalla scelta narrativa dell’autrice che, anche grazie al suo talento, mischia le carte alternando flashback e fatti avvenuti nel passato con eventi collocabili al presente. Il risultato, una volta uniti tutti i tasselli e sfogliate tutte le pagine, è un quadro bellissimo. Uno di quelli da appendere nella parete centrale della casa. Anzi del cuore.
Perché davvero Il giorno dell’abbandono tocca il cuore. E lo dice, anzi lo scrive, uno che non ha ancora provato la gioia di diventare genitore. Si può dire che verso gli ultimi capitoli ho versato un sacco di lacrime? L’ho detto. I casi sono due: o sto invecchiando davvero e quindi ho la commozione sempre pronta a farsi sentire, o la scrittura di Giulia Landini è stata in grado di penetrare fino a toccare le corde giuste delle mie emozioni. Visto che mi ritengo ancora un giovanotto bello e baldante direi che i meriti vanno tutti riconosciuti all’autrice.
Senza dubbio la Landini è riuscita a farmi fare una considerazione che credo di non aver mai fatto a caldo, dopo una lettura. Per questo la ringrazio. Una volta letta l’ultima pagina – compresi i ringraziamenti che sono una parte dei libri che adoro – mi sono ritrovato fermo sul divano a fissare quell’oggetto rettangolare che tenevo tra le mani
Ho pensato: ma tu guarda che potere ha questa cosa così piccola che si tiene su un palmo della mano. Ma ci pensi mai, amico lettore, cosa è un libro? Che magia possiede? A me vengono i brividi al pensiero di quante emozioni possono essere contenute in un oggetto di venti centimetri per dieci. Misure sparate a caso, per rendere l’idea. È incredibile.
Mi viene da dire che la scrittura è stregoneria. Una sequenza di lettere che compongono parole che unite le une con le altre sono in grado di trasmettere sensazioni che si avvertono davvero sulla pelle e dentro il nostro corpo. E senza l’utilizzo del tatto. Pazzesco.
A pensarci bene un libro, però, è soltanto il mezzo attraverso il quale un autore esegue il suo incantesimo. Perché quando un libro ti prende e ti piace di questo si tratta. Il giorno dell’abbandono mi è costato una bella notte di sonno rimandato a domani. Impossibile staccarsi. Impossibile abbandonare Dora e Dario, i due protagonisti inseriti nel romanzo con un aura di mistero, giusta, e necessaria ad ammaliare il lettore perché si incuriosisca e si affezioni.
Insomma un romanzo che a mio avviso non ha punti deboli.
Mi piacerebbe fare anche delle considerazioni sull’abbandono, sul dolore, sull’amore, sul ritrovarsi, sul perdersi, sull’amarsi, sul sostenersi, sul reagire alle avversità, sul ricominciare a vivere, sull’inventarsi una nuova vita e sulla resilienza, ma ho paura di fare troppi spoiler della storia che merita di essere vissuta dal lettore come un pentagramma ancora vuoto.
Ti starai chiedendo, amico iCrewer: possibile che ci sia tutta questa roba in un romanzo di poco più di centoventi pagine? Sì. È possibile.
Perché Il giorno dell’abbandono è un romanzo ben costruito. Valorizzato da una scrittura diretta ed essenziale. Una penna che non cerca mai la via panoramica e che arriva a destinazione puntuale, con tanto di esame della patente superato a pieni voti. Impeccabile. Un libro che trasuda amore e che tratteggia meravigliosamente il ruolo di mamma che, credo, calzi a pennello all’autrice. Un libro da leggere.
La prefazione di Silvana Da Roit e la suggestiva foto in copertina di Giusy Li Vecchi confezionano un volume che inserirò, felice, nella mia personale libreria.
Ci leggiamo alla prossima e come sempre… buone letture!