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Filosofiamo: Il cinismo tra ribellione e desiderio di libertà

Quando la filosofia si fa ribellione

Giuseppe Fumarola 7 ore fa Commenta! 6
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Se pensate che la filosofia sia fatta solo di barbuti pensatori persi tra concetti astratti, preparatevi a cambiare idea. C’è una corrente filosofica, nata nell’antica Grecia, che ha fatto della provocazione, dell’irriverenza e della sfida alle convenzioni la propria essenza più autentica. Oggi, infatti, l’appuntamento domenicale con la filosofia è dedicato al cinismo. I suoi esponenti non tenevano lezioni in accademia, ma vivevano come mendicanti, rifiutavano ogni possesso e gridavano in piazza l’inutilità delle regole sociali.  La loro era semplice provocazione, desiderio di rottura e ribellione o c’è qualcosa di più che riecheggia ancora oggi? Scopriamolo insieme!

Contenuti
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Il cinismo antico: Diogene e soci

Diogene cinismo

Il padre nobile – si fa per dire – del cinismo è Diogene di Sinope, vissuto nel IV secolo a.C. Il suo pensiero non è mai stato trasmesso in forma scritta direttamente da lui, ma ci è arrivato attraverso aneddoti riportati da fonti come Diogene Laerzio. Ed è proprio grazie a questi racconti che oggi lo ricordiamo non tanto per ciò che ha detto, ma per come ha vissuto.

Secondo la leggenda, Diogene viveva in una botte (più probabilmente una giara di terracotta), chiedeva l’elemosina e disprezzava ogni forma di ricchezza e potere. Lo storico Plutarco racconta che lo stesso Alessandro Magno, incuriosito dalla sua fama, andò a fargli visita e gli disse: “Chiedimi ciò che vuoi”, e Diogene rispose: “Spostati, mi fai ombra.” Diogene Laerzio aggiunge un altro dettaglio: il re, indispettito dalla risposta, gli fece recapitare un vassoio di ossa, per farsi beffe del suo soprannome di “cinico” ma la risposta del maestro fu altrettanto irriverente: “Il cibo è degno di un cane, ma il regalo non è degno di un re”.

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Cinismo, infatti, deriva da kynikos, “canino”, perché – come i cani – i loro esponenti non si vergognavano di nulla: mangiavano e facevano i propri bisogni in pubblico, rifiutavano vestiti eleganti, ignoravano i riti religiosi e ridevano in faccia alla morale comune.

Accanto a Diogene, troviamo altri nomi notevoli: Antistene, discepolo di Socrate considerato il fondatore del cinismo in quanto maestro dello stesso Diogene, e Cratete di Tebe, che si guadagnò il soprannome di “Apriporta” per la sua bizzarra abitudine di entrare nelle case dei suoi discepoli senza alcun invito.

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Diogene e Alessandro cinismo
L’incontro tra Diogene e Alessandro, di Gaetano Gandolfi

Col tempo, il cinismo filosofico è stato in parte assorbito dallo stoicismo, corrente che ha addolcito e reso più istituzionalizzabile la ribellione dei cinici. Ma qualcosa di quella scintilla sovversiva è sopravvissuta nei secoli. Pensatori come Michel de Montaigne, Henry David Thoreau o Friedrich Nietzsche hanno ripreso molti temi cari ai cinici: l’autosufficienza, la critica ai valori dominanti, l’importanza dell’individuo sopra le convenzioni.

Nel Novecento, questa vena “diogeniana” riaffiora sotto forme diverse: nell’antifilosofia di Cioran, nel pensiero anarchico di Hakim Bey, nel movimento della decrescita felice di Serge Latouche. Anche Pierre Hadot, nel suo Esercizi spirituali e filosofia antica, sottolinea come il cinismo rappresenti una delle pratiche più radicali di trasformazione dell’esistenza mai concepite.

E oggi? Basta guardarsi intorno: il cinico moderno non vive più in una botte, ma forse in un furgone camperizzato, predica la disconnessione dai social ma lo fa… su Instagram. È l’influencer minimalista, l’ecologista antisistema, il comico che sbeffeggia le regole della società borghese. Alcuni ritrovano tracce di cinismo anche nella figura del troll ironico o nei meme dissacranti che ridicolizzano potere, religione e status.

Il cinico non vuole migliorare il mondo: vuole far vedere che il mondo è già assurdo così com’è. E per farlo, smaschera l’ipocrisia, si fa buffone, e ci mostra che l’unica vera libertà sta nel non avere nulla da perdere. Certo, l’odierno “cinismo filosofico” è spesso svuotato della forza dirompente originale: imitata più che vissuta. Ma il seme è ancora lì, pronto a germogliare ogni volta che qualcuno rinuncia a un privilegio per un’idea o si fa beffe di ciò che tutti ritengono “serio”.

Ma c’è anche un altro tipo di cinismo, più frequente, quotidiano, che ci ricorda che non servono grandi sistemi per cambiare la vita: bastano una coperta, un cane o una lingua tagliente. Oggi come ieri, la loro eredità è scomoda ma necessaria. In un mondo che corre dietro all’apparenza, al possesso e al consenso, la voce ruvida di Diogene risuona come una risata lontana – eppure sorprendentemente attuale.

Ci invita ad una libertà nuova, più aperta, scevra di regole e preconcetti imposti da qualcun altro, una libertà spesso anche irriverente ma sempre nei limiti del rispetto altrui. Perché, forse, quello che conta davvero non è trovare il senso delle nostre esistenze, ma accettare il fatto che forse non c’è un vero senso e anche se ci fosse non ci serve trovarlo. Basta semplicemente godersi ciò che la vita ci offre ogni attimo.

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