Perché i romanzi “Regency” si chiamano così? In cosa differiscono dagli altri romanzi d’amore?
Innanzitutto, caro iCrewer, possiamo partire proprio dal termine “Regency”: cosa significa? Letteralmente significa “reggenza”, e questo termine si rifà ad un periodo storico ben preciso, il decennio 1811/1820, ed ad un’area geografica altrettanto precisa, l’Inghilterra; in questo periodo re Giorgio III, considerato non più in grado di governare a causa di una malattia mentale, fu sostituito al governo del paese dal figlio (futuro Giorgio IV) che assunse di conseguenza il ruolo di Principe Reggente. Gli anni della Reggenza del Principe Giorgio furono segnati dalla vittoria britannica nelle guerre napoleoniche in Europa e da un clima culturale particolarmente vivace in patria, oltre che dagli smodati eccessi dell’aristocrazia, incentivati dal Principe Reggente stesso. C’è da aggiungere che quando ci si riferisce alla “Reggenza”, si considera comunque un lasso di tempo un po’ più lungo, che va dal 1800 fino al 1830, come una sorta di congiunzione fra l’epoca Georgiana e quella Vittoriana.
La Reggenza è raccontata anche come un’epoca in cui la conversazione, gli incontri, le passeggiate in compagnia, le visite agli amici e ai vicini di casa erano la parte più importante della vita quotidiana e gli eventi più clamorosi e più attesi erano i balli. Durante i balli si stringevano nuove amicizie, ci si divertiva fino a tarda notte, e soprattutto le giovani donne avevano la possibilità di trovare un marito. In una società dove la libertà femminile era limitata al punto che a una donna non era consentito camminare da sola in città o scrivere una lettera ad un uomo che non fosse un parente o il fidanzato, i balli costituivano una straordinaria opportunità per farsi conoscere e, alla lunga, per accasarsi. In questa cornice culturale Jane Austen (1775-1817) è vista come la prima scrittrice Regency, abilissima col suo stile unico e molto amato anche ai giorni nostri nel raccontare il mondo femminile dell’epoca e a fotografare le contraddizioni umane di quegli anni: le passioni, le sregolatezze, le convenzioni, i legami familiari, i dolori e le tragedie della vita. La caratteristica “rosa”, se possiamo dire così, fu però introdotta in seguito dall’autrice Georgette Heyer (1902/1972) che decretò le nuove regole del genere Regency, scrivendo più di trenta opere ambientate nel decennio della reggenza.
Lo stile delle due scrittrici ha fatto e fa da caposaldo per gli autori dei Regency odierni, che quindi nello specifico possono collocarsi come un ulteriore sottogenere del “rosa storico”; i Regency vengono suddivisi a loro volta in “tradizionali” e “storici”. I primi si basano essenzialmente sulle strette convenzioni sociali dell’epoca. Sono in genere racconti brevi e, come si dice, soprattutto “commedie di maniera”; in essi l’attenzione è incentrata principalmente sui comportamenti in società dei protagonisti e sui loro scambi verbali, sul bon ton, sulle differenze di classe sociale, e viene enfatizzato l’aspetto romantico tra “lui e lei“, mentre quello erotico è appena accennato, se non addirittura assente. Nei secondi, normalmente anche più lunghi, le tematiche sono più varie e più ampie, gli avvenimenti storici assumono maggiore importanza e l’erotismo è sicuramente uno degli attori principali. In entrambi i generi troviamo comunque immancabili le vivide e particolareggiate descrizioni degli usi abituali dell’epoca, (ad esempio eventi teatrali, balli, cene sfarzose, dettagli su abiti e su arredamenti, oppure racconti su sport come l’equitazione, la scherma, il tiro con la pistola), che fanno da cornice ai matrimoni, alle unioni di convenienza, alle passioni segrete, agli scambi d’identità, ai misteri e agli intrighi.
Lo stile Regency non è in ogni caso un’esclusiva… inglese; ha i suoi fan anche qui in italia, e la Casa Editrice Dri si occupa (anche) di questo settore. Tra le varie autrici italiane che pubblicano romanzi in questo stile, rammento in primis Pitti Duchamp (ex collega di redazione che colgo l’occasione di salutare e di augurarle buon lavoro) Virginia Dell’amore e Anita Sessa (di cui pubblicherò articolo e intervista il 14 maggio, stay tuned!)