La notizia sta rimbalzando di testata in testata, ma il decesso di Giulio Savelli, noto editore, seguirà la sorte di tanti altri che sono venuti a mancare nel periodo del Covid19, il suo funerale si svolgerà nei prossimi giorni in forma strettamente privata.
Giulio Savelli non c’è più: una vita alla ricerca della libertà di pensiero.
Sicuramente, caro iCrewer, ricorderai questo editore per i lavori da lui pubblicati attraverso la sua casa editoriale; mi riferisco alla strage dello stato, controinchiesta sulla strage di Piazza Fontana, al libro simbolo degli anni ’70 “Porci con le ali“ , romanzo scandalo, che rovescia i canoni della cultura italiana diventando uno dei maggiori punti di riferimento per tutti i movimenti extraparlamentari di sinistra; e “Il libro di storia”, un volume svedese del 1974 che è una controstoria del mondo raccontata a fumetti e dedicata a bambini rivoluzionari e adulti; come altrettanto rivoluzionaria risulta la collana “Pane e rose”.
Giulio Savelli era nato nel 1959 a Roma, deceduto ieri, 12 maggio 2020. Ha pubblicato contributi critici in numerose riviste accademiche, fra cui “Strumenti critici“, “Filologia e critica“, “MLN” occupandosi di testi e autori italiani, da Boccaccio a Manzoni fino a Buzzati. Ha dedicato all’opera di Italo Svevo numerosi interventi, fra cui una monografia sulla Coscienza di Zeno (L’ambiguità necessaria, FrancoAngeli 1998) e un’edizione commentata di Senilità (Millennium, 2005).
La casa editrice ha chiuso i battenti nel 1982, ma l’uomo Salvelli è rimasto sempre attivo in Parlamento negli anni ’90 con il partito di Forza Italia.
Questo è un saggio edito nel 2015 da lui stesso
“Il dolore di essere italiani“
“Il saggio parte dalla dolorosa percezione di sdoppiamento etico, intellettuale, valoriale, che sta alla base dell’identità italiana. Questa è polarizzata fra l’ideale di un Paese «normale» e una realtà del tutto differente. L’Italia è infatti una società trasgressiva – un sistema, cioè, che prevede in se stesso la violazione delle proprie regole, e in cui l’adesione coerente a un qualunque insieme di valori non è fattore importante per l’identità personale. Questo insieme infatti in Italia è vincolato alla sola dimensione sensibile e sostituito da affetti e piaceri.
La mancanza di una dimensione astratta nella determinazione dell’identità individuale è inoltre correlata a diverse peculiarità italiane, fra cui il fatto che il solo rapporto sociale reale risulta essere il rapporto personale. Ciò determina a sua volta una declinazione del potere fondata sulla complicità e un orizzonte necessariamente breve nell’esercizio dello stesso.A fronte di tale articolazione antropologica degli italiani, viene brevemente tracciata l’evoluzione di quella élite anti-italiana che da un lato ha statuito il profilo dei «difetti morali» tipicamente nazionali e dall’altro si è storicamente posta – e si pone – in opposizione alla realtà rappresentata dai «costumi degli italiani».
Il limite più grave di tale élite è la sua dipendenza identitaria dagli italiani stessi, senza i cui vizi non esisterebbe. A ciò va sommata la pretesa di dover «fare gli italiani» e l’illusione di una propria egemonia necessaria, assieme all’incapacità di immaginare un futuro che non coincida coi propri ideali e i propri valori. Questa debolezza immaginativa – che, nella cultura letteraria italiana, corrisponde alla debolezza del romanzo – ha infine condotto i critici della realtà italiana nell’attuale condizione di paralisi e di irrilevanza.
Oggi, però, per un altro verso e parallelamente all’estinzione degli anti-italiani storici, l’incremento numerico degli emarginati intellettuali — sommariamente radunati nelle statistiche del cosiddetto «precariato intellettuale» — è andato definendo un tipo di anti-italiano nuovo, che, per la prima volta, si confronta con la realtà italiana sulla base delle proprie necessità esistenziali bloccate anziché su quella di un ideale astratto da incarnare.
In definitiva, non si comprende l’Italia senza considerare assieme carattere nazionale e ideale nazionale, la loro opposizione, ma soprattutto la loro congiunzione e perversa complementarità. È in questo intreccio che si concretizza il dolore identitario dell’essere italiani, ed è questa condizione, confusa e atrofizzante, che il saggio si propone di esplorare e descrivere.”
Che la vita ti sia lieve.