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Filosofiamo: Giulio Cesare Vanini, eretico della libertà

Filosofo, eretico e pensatore libero

Giuseppe Fumarola 3 ore fa Commenta! 8
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Ci sono filosofi che hanno camminato ai margini della storia, figure ingombranti per il loro tempo, troppo scomode per essere accolte e troppo eccentriche per non lasciare un segno. Giulio Cesare Vanini appartiene a questa categoria: un uomo brillante, polemico e provocatorio, vissuto tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, il cui destino fu quello di essere bruciato vivo con la lingua tagliata per le accuse di ateismo.

Contenuti
Giulio Cesare Vanini: l’uomo e il filosofoEretico o pensatore libero?

La sua vita sembra quasi un romanzo e il suo pensiero, audace e radicale, è rimasto come un lampo che ancora oggi affascina chi va a scovare nelle pieghe della storia della filosofia i personaggi più fuori dal coro.

Giulio Cesare Vanini: l’uomo e il filosofo

Giulio Cesare vanini busto

Vanini nacque nel 1585 a Taurisano, in Puglia, in un contesto che avrebbe voluto vederlo uomo di Chiesa: entrò giovanissimo nell’ordine dei Carmelitani, ma la sua indole ribelle e la sua curiosità intellettuale non lo resero mai un religioso docile. Ben presto iniziò a viaggiare per l’Europa, tra Inghilterra, Olanda e Francia, in un continuo spostarsi, anche a causa dei problemi con le gerarchie ecclesiastiche.

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Era un uomo inquieto, e questo suo vagabondare rifletteva la sua irrequietezza interiore. In Inghilterra, per esempio, finse di convertirsi al protestantesimo, ma non tardò a manifestare la sua insofferenza anche verso quella dottrina. Rientrato a Tolosa, finì per attirarsi i sospetti dell’Inquisizione e di lì a poco la sua carriera filosofica si intrecciò con la sua condanna.

Il carattere di Vanini era quello di chi non poteva fare a meno di dire ciò che pensava, senza filtri. Nei suoi scritti emerge un sarcasmo caustico e una vena ironica che lo rendono diverso da molti altri pensatori del suo tempo. Non si limitava a fare filosofia: provocava, punzecchiava, sfidava apertamente dogmi e certezze.

In una delle sue opere, ad esempio, racconta di aver assistito in giovane età ad un miracolo: un cieco, dopo essersi inginocchiato dinanzi ad un dipinto della Madonna, si rialzò avendo riottenuto la vista. Vanini, però, riferisce che il cieco, aveva sì ottenuto la vista ma si era rialzato zoppo. Suggerisce, quindi, che l’uomo non fosse né cieco né zoppo ma un semplice truffatore che si approfittava della carità e dell’ingenuità delle signore anziane del villaggio.

Il processo che lo condusse al rogo nel 1619 è rimasto famoso per la sua crudeltà. Vanini fu arrestato e accusato come ateo e bestemmiatore. La sentenza prevista per simili reati era triplice: a Giulio Cesare Vanini venne prima strappata la lingua, poi fu strangolato ed infine arso sul rogo.

Eretico o pensatore libero?

giulio cesare vanini

Pubblicò due opere principali: la prima, L’Anfiteatro dell’eterna Provvidenza, un testo che si presentava come una difesa della religione naturale ma che già lasciava intravedere un atteggiamento più critico di quanto non apparisse; la seconda, Sui meravigliosi segreti della Natura, regina e dea dei mortali, era un’esplosione di idee naturalistiche, un inno alla natura intesa come forza autonoma e autosufficiente, madre e matrigna insieme. Quest’ultimo testo gli attirò inevitabilmente l’accusa di ateismo, anche se a rigore Vanini non fu mai davvero ateo nel senso moderno del termine.

Quella che Vanini rifiutava non era tanto l’idea di Dio quanto piuttosto quella che di lui davano la Chiesa e gli istituti religiosi. Riprendendo il pensiero di Macchiavelli, il filosofo pugliese anticipa di qualche secolo quelli che saranno alcuni dei capisaldi dell’illuminismo e del libertinismo che vedevano nella religione una semplice invenzione umana. Scrive, infatti: «tutte le cose religiose sono false e sono finte dai prìncipi per istruire l’ingenua plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione».

Ma Vanivi non era affatto ateo, anzi. Il suo pensiero era piuttosto un panteismo vitalistico che vedeva nella Natura il principio assoluto di tutte le cose. La sua filosofia era pervasa da un’energia quasi poetica: la Natura, regina e dea dei mortali, non aveva bisogno di un Dio trascendente per esistere, bastava a sé stessa. In questo modo Vanini si inseriva, suo malgrado, in quella linea sotterranea del pensiero europeo che cercava un’alternativa radicale alla teologia dominante.

La sua fortuna filosofica fu però paradossale. Per secoli Vanini venne ricordato più come eretico che come pensatore, il suo nome legato al rogo più che alle idee, tanto che gli venne anche attribuita la paternità di un opera leggendaria nota come Trattato dei tre impostori in cui si affermare che i padri delle tre grandi religioni, Mosè per gli ebrei, Gesù per i cristiani e Maometto per i musulmani, fossero in realtà dei semplici imbroglioni.

Eppure, a partire dall’Illuminismo, alcuni intellettuali cominciarono a recuperarlo come figura simbolica della libertà di pensiero. Voltaire, ad esempio, ne sottolineò il coraggio e la radicalità, vedendo in lui una sorta di martire della ragione. Nei secoli successivi, Vanini divenne un personaggio affascinante per chiunque volesse mostrare le ferite inferte dal potere al libero pensiero ed oggi i suoi scritti sono tra i più ricercati dai collezionisti e bibliofili.

Giulio Cesare Vanini ritratto

Giulio Cesare Vanini morì a poco più di 34 anni. Eppure ridurlo a un personaggio bizzarro, a una meteora della filosofia bruciata troppo in fretta, sarebbe un errore. Se leggiamo oggi i suoi testi, caratterizzati da una forte erudizione condita da un’ironia pungente e dissacrante, troviamo spunti che parlano ancora al presente.

Vanini si interrogava sul ruolo della natura, sulla possibilità di spiegare i fenomeni del mondo senza ricorrere sempre e comunque a un principio divino. In un’epoca in cui la scienza muoveva i primi passi verso l’autonomia dalla religione, le sue riflessioni rappresentavano una sorta di ponte tra il pensiero magico-rinascimentale e la modernità scientifica. Del filosofo non resta, oggi, un sistema filosofico compiuto e raramente il suo nome compare tra le pagine dei libri di scuola. Eppure rappresenta un personaggio chiave ed emblematico che ci invita a non adagiarci mai nelle certezze assolute e a guardare alla natura con occhi nuovi, come a una forza che non ha bisogno di giustificazioni esterne.

Oggi la Chiesa non ha più la presa di un tempo ma esistono nuovi dogmi, nuovi miti, nuove verità assolute. La sua lezione è più che mai attuale: imparare a diffidare delle verità imposte, coltivare lo spirito critico e non temere di pensare fino in fondo.

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