Gesualdo Bufalino, siciliano di Comiso, in provincia di Ragusa, conosciuto principalmente per i suoi romanzi, ha auto un inizio letterario in poesia, passato in secondo piano rispetto a quello in prosa. Come Andrea Camilleri, anche Gesualdo Bufalino, ha peccato di poesia in gioventù.
Dedicandosi alla prosa ma non solo, ha dato alla letteratura opere come Diceria dell’untore e Le menzogne della notte, per citare solo le più famose, caratterizzate da uno stile personalissimo e intriso di poesia da essere definito poesia senza versi, d’inarrivabile potenza evocativa, ricercata fino al cesello, densa di metafore ed ossimori. Per dirla in altre e più semplici parole, quella che si può definire prosa poetica.
L’esordio letterario di Gesualdo Bufalino fu, per così e impropriamente dire, meditato a lungo. Probabilmente il nostro autore, taciturno e schivo ma dotato di grande sensibilità e corredato di sconfinata cultura, non pensava minimamente di diventare uno scrittore famoso. Forse il suo successo letterario fu dovuto al “caso”. Se caso si può definire la scoperta da parte di Leonardo Sciascia, di un’anonimo professore di Comiso che fino ai 61 anni conservava nel cassetto le sue opere.
Fu, così, per caso che Leonardo Sciascia ed Elvira Giorgianni in Sellerio lessero una sua nota di accompagnamento a delle lastre fotografiche di fine Ottocento ed entrambi pensarono che in quelle poche righe si celasse uno scrittore? Può darsi. Chiamiamolo caso, chiamiamolo destino: sta di fatto che Gesualdo Bufalino fu invitato dai due mostri sacri, uno della penna, l’altra dell’editoria, ad uscire dai suoi confini privati e a “darsi” alla stampa.
Non fu infruttuoso quel darsi: gli valse il Premio Campiello nel 1981 con Diceria dell’untore, il Premio Strega nel 1988 con Le menzogne della notte, il premio Nino Martoglio International Book Award nel 1990 e, cosa non secondaria, la consacrazione ad autore fuori dagli schemi che non è morta con lui in quel tragico incidente stradale nel Giugno del 1996, sulla strada tra Comiso e Vittoria mentre tornava a casa.
E se Dio avesse inventato la morte per farsi perdonare la vita?
Gesualdo Bufalino e la poesia
Ho brevemente accennato (brevemente, perché si potrebbero riempire pagine e volumi, considerata la sua grande produzione) al Gesualdo Bufalino scrittore e sono certa che ti starai chiedendo cosa c’entra con una rubrica di poesia, quale è quella che stai leggendo. A parte i numerosi aforismi (uno lo hai letto sopra), che basterebbero a giustificare la sua presenza in qualsiasi rubrica, Gesualdo Bufalino è stato anche un grande cultore della poesia e poeta egli stesso.
Dotato di un’immensa conoscenza letteraria, sia italiana che straniera e di una grandissima curiosità in svariati campi, dal cinema, al teatro, alla musica, dall’arte alla fotografia, avrebbe mai potuto disdegnare quel ramo letterario che risponde al nome di poesia? La risposta è più che scontata: no! Infatti il nostro autore, già a sedici anni leggeva ed amava Boudelaire… E scusa se è poco.
Sarà stato il poeta dei Fiori del male ad influenzare gli scritti poetici giovanili di Gesualdo Bufalino? Può darsi, almeno in parte, dal momento che le tematiche possono richiamare alla memoria di chi legge l’ennui, lo spleen, il dolore esistenziale; l’amore vissuto come “commedia degli inganni”, come illusione perpetua destinata a finire fagocitata dalle ingiurie del tempo:
O mio cuore, episodio/ inutile, che spavento ti coglie/ ora che un vento logora/ le sembianze lebbrose delle foglie…/ Come un ospite che nessuno sopporta/ vado fra gli uomini, stanco/ di chiedere in elemosina la morte./ […]
La morte, pensiero costante in Gesualdo Bufalino, ineluttabile paradigma finale dell’esistenza, come hai potuto leggere dai versi sopra riportati ed estrapolati dalla lirica O mio cuore, inserita nella raccolta L’amaro miele, è un’altra delle tematiche care all’autore, in poesia come in prosa. Ricorrente è la memoria che lo lega al suo mondo, quella Sicilia amata, cantata e anche odiata per certi versi: un’isola babba (cioè mite fino a sembrare stupida) e sperta (cioè furba), pigra e frenetica, un’isola senza tempo, sola nell’angoscia dei suoi sigillati confini, infelice ed orgogliosa di questo destino, da cui Bufalino non si allontanerà mai.
Gesualdo Bufalino e Dio
Un discorso a parte, nonché un approfondimento particolare, meriterebbe il rapporto di Gesualdo Bufalino con il Creatore, cosa che mi riprometto di fare in futuro. Un rapporto controverso, dubbioso carico di domande spesso senza risposte:
Se Dio esiste, chi è? Se non esiste, chi siamo?
Basterebbe questo solo aforisma per capire la natura del rapportarsi continuo del nostro autore con il divino, sarebbe però come sminuire l’intimo travaglio di Gesualdo Bufalino con un argomento che percepisce come sangue, grido, tumore che mi mangia il petto. Riporto, per darti l’idea di quanto pregnante ed invasivo fosse nell’esistenza dell’autore il pensiero di Dio, quanto scrive in una sua poesia, Versi scritti sul muro, inserita anche questa nella raccolta L’amaro miele.
Più lontano mi sei,/ più Ti risento/ farmiti dentro il cuore/ sangue, grido, tumore,/ e crescermi sul petto./ Più sei lontano e più Ti sento addosso,/ fra l’abito e la carne,/ contrabbando cattivo,/ volpe rubata che mi mangia il petto./
Una poesia come preghiera, un vizio solitario che Gesualdo Bufalino coltivava costantemente pur fra mille interrogativi e dubbi… E pur non sapendo, probabilmente, di pregare.
Non sono complicato ma contengo una dozzina di anime semplici insieme
Si raccontava in questi termini e in estrema sintesi Gesualdo Bufalino e io che mi ritrovo a parlarti della sua opera poetica, mi sto rendendo conto che un autore così complesso e completo ha più di una dozzina di anime dentro di sé. E volerle indagare approfonditamente tutte, è tutt’altro che semplice… E quindi, per ora, mi fermo qui, prima però è doveroso ribadire che in questo 2020, così diversamente facile, ricorre il centenario della nascita del nostro autore.
La Fondazione Gesualdo Bufalino e le iniziative per la ricorrenza.
La Fondazione dedicata a Gesualdo Bufalino, ha sede in Comiso ed è stata istituita nel 1999 dal Comune della stessa cittadina, in provincia di Ragusa. Si occupa di promuovere la figura e l’opera dell’autore attraverso convegni, seminari, letture, mostre, pubblicazioni e altre varie iniziative.
Nei locali della Fondazione si conservano volumi e libri appartenuti al nostro autore, oltre a materiale manoscritto e dattiloscritto, una piccola emeroteca, una videoteca e una preziosa collezione di dischi: tutto questo a testimonianza dei molteplici interessi e della versatilità dell’autore comisano.
Per celebrare il centenario della nascita, la Fondazione ha deciso di pubblicare una nuova edizione della raccolta L’amaro miele da cui ho tratto le liriche che hai letto sopra. La raccolta è ha avuto diverse pubblicazioni: la prima nel 1982, la seconda nel 1989, la terza nel 1996, dopo la sua morte. Le tre edizioni precedenti sono state arricchite ed aggiornate, di volta in volta, con poesie inedite, ritrovate fra i numerosi appunti e documenti lasciati da Gesualdo Bufalino.
Questa nuova edizione, la quarta, voluta dalla Fondazione è impreziosita dai dipinti di Alessandro Finocchiaro ispirati ai temi delle poesie contenute in essa. Le opere saranno esposte nella sede della Fondazione, sita a Comiso, Piazza dell’Erbe 13, in occasione della presentazione della raccolta, il 27 giugno 2020, a cura di Nunzio Zago.
I versi di Bufalino, scritti su carta da macero, mettono in scena, nota Zago, un “personale teatrino di memoria”. Lo scrittore descrive scampoli della sua esistenza con il sapore di un miele che diventa, appunto, amaro per le tristezza e i dolori che l’hanno attraversata.
Capita a volte di sentirsi per un minuto felici. Non fatevi prendere dal panico: è questione di un attimo e passa.
Termino così il nostro incontro di oggi, con la malinconica ironia emblematica di un grande autore siciliano, Gesualdo Bufalino.