Oggi, come ultimo articolo di F(t)E(a)M parleremo di com’è nato il femminismo. Non di com’è nato il femminismo come movimento di rivendicazione, ma come consapevolezza personale. Quando abbiamo capito che dovevamo essere femministe per migliorare le cose? Quando abbiamo capito, nella nostra quotidianità, che esiste il patriarcato, il sessismo, la misoginia e la discriminazione solo perché donne?
Inizio io.
Quando è iniziato il femminismo per me:
Pensando alla mia infanzia, alla mia famiglia, posso dire che sono stata cresciuta come “se fossi stata un uomo”. Io e mia sorella abbiamo sempre potuto giocare con qualsiasi cosa, dalle bambole alle macchinine. Dal pallone da calcio a alla danza, abbiamo potuto fare tutti gli sport senza sentirci dire “Ma è da maschio”. Ogni volta che mi arrabbiavo non mi sono mai sentita dire “Le femmine non si arrabbiano, non alzare la voce”. Mio padre l’ho sempre visto dare il suo contributo in casa, in cucina e facendo le pulizie. Da piccola gli mettevo lo smalto e non mi ha mai sgridata dicendomi che le unghie da colorare sono solo quelle femminili. Mi guardava, mi diceva “bel lavoro” e andava in bagno a toglierselo. Con questo suo gesto ho sempre pensato che forse non gli piacesse il colore per tenerselo così poco, ma non sicuramente che lo smalto lo potessero tenere solo le donne. Le unghie alla fine ce le abbiamo tutti.
Il primo gesto di sessismo nei miei confronti è successo con un fidanzatino delle superiori a 16 anni. Era San Valentino e gli feci recapitare in classe una rosa. Classe di soli uomini visto che faceva un’istituto tecnico meccatronico. Non ho mai pensato che i fiori andassero regalate solo alle donne, eppure lui quel giorno non gradì molto il mio regalo. Ci misi un po’ di tempo per capire il suo rifiuto e la sua indignazione davanti a un rosa. Per me era semplicemente un gesto romantico. Lui lo vide come un oltraggio.
Poi iniziai l’università, ed è qui che incominciò tutto. Le frasi “Vestita così è ovvio che hai preso 28”, per aver avuto semplicemente un vestito che fasciava il corpo, senza sapere se l’insegnante era uomo o donna, mi lasciarono perplessa. Le prime volte facevo un sorrisino ma dentro di me pensavo “Ma cosa c’entra? Cosa devo fare?”. Poi capii. Non ricordo con quale libro mi avvicinai al femminismo (nota negativa di leggere troppi libri), ma capii che quelle frasi le dicevano a me solo perché ero una donna. Poi inizia a lavorare e quando un cliente andava dal mio capo a parlargli della mia professionalità e competenza, lui veniva da me dicendomi “Chissà com’eri vestita per averti fatto quei complimenti”. Tutto questo dovrebbe farci pensare: “Uomini che problemi avete con i vestiti?” E invece incolpiamo noi stesse perché potevamo vestirci in modo diverso, con colori meno appariscenti. Mi è capitato di pensare che se avessi avuto gli occhi marroni e i capelli corti e scuri, la gente avrebbe visto di più la mia professionalità. Poi grazie al femminismo, mi sono fatta un esame di coscienza e ho capito che non sono i miei occhi verdi e i miei capelli biondi e lunghi che fanno perdere di vista le mie competenze, ma chi mi guarda e vede solo ciò che il patriarcato ha insegnato a loro.
I fischi per strada hanno un racconto tutto loro. Che io fossi stata vestita da pattumiera o in top e pantaloni da corsa i risultati sarebbero stati uguali: “Ehi ciao bellissima” con risate e fischi annessi. In questi casi ti dicono di non rispondere, di ignorare. Certo, ok, ma il senso di schifo e di sporco che ci restano addosso chi ce li toglie?
Vogliamo poi parlare dell’insulto per eccellenza se sei donna? Che tu abbia un attività sessuale o meno in ogni caso sei una troia. Ti diverti una serata in discoteca? Bè, allora sei una troia. Avevi una relazione stabile da anni ma hai deciso di lasciarlo? Bè, allora sei una troia. Sono convinta che ogni donna del mondo, almeno una volta nella vita, si è sentita dare della troia.
Poi sono andata a convivere e mi sono sentita dire dalla madre del mio compagno che adesso sarai stata io a stirargli i vestiti e non più lei. E io che pensavo di avere un compagno con delle mani e i pollici opponibili. Per citare la donna imprenditrice con più successo di un uomo, ovvero Chiara Ferragni, le ho risposto nello stesso modo “Io non stiro un cazzo”.
Insomma, ad un certo punto il femminismo è stata la risposta a tanti atteggiamenti negativi. Ho capito che il femminismo non serviva solo a me, in quanto donna, ma a tutti quegli uomini che dietro a frasi sessiste e misogine avrebbero bisogno di capire che le donne sono tante cose, ma mai troie o “esseri inferiori”. Il femminismo serve anche alle donne vittime della misoginia, ovvero donne che odiano altre donne. Solo perché invidiose o perché hanno ricevuto un insegnamento patriarcale che diceva a loro che tutte le altre donne sono un problema.
Il femminismo non è solo un movimento di rivendicazione dei diritti, è anche una risposta a tutte le domande che noi donne ci poniamo per poter avere ciò che meritiamo: rispetto, equità, indipendenza e libertà.
E tu, come hai scoperto il tuo femminismo?