Parlare di eredità, di missioni spirituali che si trasmettono da un uomo grande a un altro uomo grande nella successione del tempo è una tentazione molto facile; ogni poeta ricomincia daccapo, perchè il poeta è un uomo, vive in mezzo agli uomini, ne condivide i sentimenti e i bisogni morali con una larghezza che dà misura del suo valore.
Nel periodo del Romanticismo questi accordi, queste collaborazioni son il tessuto di una nuova società.
Ugo Foscolo erede di Alfieri
Ugo Foscolo è il primo e più diretto erede dell’Alfieri. Irrequieti tutti e due, tanto generosi che spesso in entrambi la generosità repressa, delusa nelle aspirazioni più vive, assume gli atteggiamenti dell’asprezza collerica o della superbia silenziosa ed agghiacciante.
Il più vecchio muore solitario, lontano dalla propria terra e senza aver visto il principio dell’età nuova che avrebbe realizzato le sue aspirazioni. Il più giovane, Foscolo, turbato dall’amor di patria di cui fremevano le ossa del predecessore, morirà anche lui esule; ma, almeno, il tempo più avanzato gli avrà concesso di abbandonarsi agli entusiasmi di conoscere le prime emozioni che porteranno gli italiani all’unità risorgimentale.
Andiamo alla scoperta con una rapida biografia.
Ugo Foscolo: prodromo del rinnovamento romantico
Foscolo nasce il 6 febbraio 1778 a Zante – l’isola greca, che per la sua forma gli antichi avevano chiamato “giacinto” – dal medico Andrea, di famiglia veneta, e da Diamantina Spathis.
Lo sapevi che fu battezzato come Niccolò? Io no! E fu lui stesso che intorno ai diciannove anni si “impose” il nome di Ugo, rimastogli poi nella fama. La morte del padre costringe il Foscolo bambino e la madre a cercare l’appoggio economico dei parenti, successivamente la madre ritorna a Venezia lasciando il ragazzo in affidamento a una zia.
Nel ’92, un quattordicenne amareggiato dai disagi, inasprito nell’orgoglio dagli aiuti che le circostanze gli avevano imposto di cercare, inquieto e apprensivo per oscuri turbamenti non ancora del tutto indirizzati agli studi letterari e identificati nella vocazione poetica, comincia a conoscere sé stesso e i suoi ideali proprio a Venezia, che fu la vera patria del suo spirito.
Qui, nel ’94, conosce la prima passione amorosa, per Isabella Teotochi Albrizzi, donna di cultura brillante e animosa, compie gli studi con la guida di Angelo Dalmistro sacerdote argutissimo, amico di letterati e autore egli stesso di sermoni didascalici a imitazione di quelli di Gaspare Gozzi.
Ben presto l’attività febbrile dell’intelletto e dei sentimenti, disordinata e golosa come come l’ansia di chi in ogni incontro scopre un mondo nuovo e se ne arricchisce di continuo, comincia a dare i suoi frutti.
La venuta di Napoleone in Italia e le radicali, spesso anche volubili, trasformazioni che la nostra società ricevette dall’arrivo dei francesi spinsero il Foscolo a un modo errabondo e inquieto di esistere: l’impulso, apparentemente determinato dalle circostanze ma in realtà specchio di una radicalissima condizione interiore, gli durò finché visse.
Deve fuggire perchè a Venezia entrano i nuovi padroni, e va a Milano; qui medita di uccidersi per il non corrisposto amore nei confronti della giovane e bella moglie di Monti, suo amico. Non soddisfatto della vita che conduce, lascia Milano e per due anni combatte contro gli austriaci.
Le sue schermaglie amorose sono tali da fargli comporre Odi per ciascuna delle dame di cui si innamora.
Ricordiamo i suoi scritti più famosi: Ode a Bonaparte liberatore, Le Grazie, Le ultime Lettere di Jacopo Ortis, All’amica risanata, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni, Dei Sepolci
A volte è in condizioni economiche più che discrete, ma l’instabilità dei guadagni e l’incapacità ad una ordinata vita domestica contribuiscono ad abbreviare il respiro degli agi.
Gli ultimi anni sono turbati da litigi con creditori e da fughe per evitare imbarazzanti scadenze; c’è una incarcerazione nel ’24 come debitore moroso.
Poi ai disagi, alla nostalgia, all’umiliante necessità di vivere nascosto – deve cambiare persino identità – si aggiungono i mali fisici; muore nel settembre del 1827.
Sepolto nella chiesa di Chiswick, le suo ossa vennero traslate nel 1871 a Firenze, nel tempio di Santa Croce che aveva fatto da arco di volta (con i monumenti funebri al Macchiavelli, a Michelangelo, a Galileo e all’Alfieri) all’ispirazione dei suoi Sepolcri.
E da allora anche lui con quei grandi abita eterno.