Caro Icrewer,
inizio il nostro settimanale appuntamento con la rubrica Filosofiamo con una brevissima riflessione.
Spesso si rimprovera alla filosofia la sua eccessiva astrattezza, per il quale filosofare vuol dire isolarsi dalla realtà e perdersi in un’utopia di domande complicate a cui forse sarebbe meglio non avere risposte. In effetti spesso i filosofi si sono rifugiati nelle loro torri d’avorio ed anzi, alcuni di loro ci hanno persino descritto le loro città ideali, delle vere e proprie utopie in terra.
Ma cos’è un’utopia? E può avere un valore nella realtà? Scopriamolo insieme in questo breve viaggio tra filosofi e le loro idee.
Che cos’è un’utopia?
Il termine è relativamente recente. Fu coniato dal filosofo Thomas More nel 1516 in un’opera che porta appunto il nome di Utopia. Esso deriva dalla lingua greca e può avere due etimologie, entrambe valide. È composta da ou – topos che vuol dire “nessun luogo” ma può derivare anche da eu – topos che si traduce come “buon luogo”. Il significato che gli attribuiamo noi oggi, e probabilmente anche lo stesso Moro, coniuga entrambe queste accezioni così che l’utopia sta ad indicare un luogo che non esiste nella realtà ma che incarna una città ideale, in cui ogni cosa è perfetta.
Ma che senso può avere descrivere un luogo immaginario, assolutamente perfetto e senza alcun difetto che, tuttavia, non trova riscontro nella realtà? L’obbiettivo di questi filosofi “utopisti” non era quello di staccarsi dalla realtà ma anzi cercavano di migliorarla dimostrando, per contrasto, quali fossero le storture delle società del loro tempo e cosa fare per guarirle.
Sebbene queste città ideali appaiono visibilmente impossibili da realizzare, attraverso di esse i filosofi offrono la possibilità di riflettere su alcune tematiche e problematiche del loro tempo, mescolando questioni etiche, politiche, intellettuali, scientifiche e filosofiche nel senso più ampio del tempo.
Thomas More coniò il termine ma le utopie esistevano già da tempo e, anzi, sono sempre esistite.
Le città ideali più famose
Nel libro Platonopoli. La città dei filosofi, Fabrizio Bartoli ripercorre alcune delle più famose città ideali dell’antichità, cercando di capire come e se quelle città potessero essere state effettivamente realizzate in passato.
Nel III secolo d.C. ad esempio, pare che il filosofo Plotino presentò un progetto per la realizzazione di Platonopoli, una città tra Gaeta e Napoli che doveva rispecchiare l’utopia tratteggiata da Platone nella sua Repubblica. Il discepolo di Socrate, infatti, fu uno dei primi a realizzare una città ideale. La sua Kallipolis (bella città) era suddivisa in tre classi: i filosofi, gli unici dotati di sufficiente saggezza per governare; i guerrieri la cui forza doveva essere messa al servizio della comunità ed infine i produttori, i più umili ma indefessi lavoratori. Ogni classe aveva i suoi compiti e doveva collaborare per il benessere dell’intera società.
Ciò che colpisce è che Platone auspicava l’abolizione della proprietà privata e di ogni altra forma di ricchezza, almeno per le due classi superiori (filosofi e guerrieri) così da evitare l’insorgere delle disuguaglianze. Persino le donne venivano “messe in comune” tra le classi superiori affinchè le unioni sessuali potessero avvenire in modo controllato e solo nei giorni stabiliti dallo Stato. In questa utopia le donne non erano subordinate all’uomo ma anzi, godevano di pari diritti e partecipavano attivamente alla vita dello Stato.
Anche Thomas More nella sua Utopia prevede l’abolizione della proprietà privata. La sua Utopia è un’isola altamente organizzata dove la giornata lavorativa è limitata a sei ore così che tutti abbiano il tempo e la possibilità di dedicarsi a quelle attività di svago fondamentali per il benessere individuale. La tolleranza religiosa è un principio fondamentale, e la giustizia è amministrata in modo equo ed efficace, contrariamente a quanto avveniva nell’Inghilterra del XVI secolo, funestata da guerre di religione e abusi giuridici.
Un ordinamento più mistico ha la Città del Sole, l’utopia che Tommaso Campanella tratteggia nella sua omonima opera (1602). Questa è governata da un principe sacerdote detto Sole, aiutato da altri tre principi: Sapienza che si occupa delle scienze, Potestà che si occupa della pace e della guerra, infine Amore che si prende cura della procreazione, dell’educazione degli abitanti e del lavoro. Ogni aspetto della vita è regolato da leggi razionali e divinamente ispirate e scienza e religione sono perfettamente integrate. Campanella usa questa visione utopica per esplorare l’idea di una società in cui la conoscenza e la spiritualità conducono alla perfezione morale e sociale.
Francis Bacon, nel suo Nuova Atlantide (1627), descrive un’altra visione di città ideale, concentrandosi sull’importanza della scienza e della conoscenza. La Nuova Atlantide è un’utopia basata sulla ricerca scientifica e la scoperta delle leggi naturali. La Casa di Salomone, un istituto di ricerca avanzata, rappresenta il cuore della città, dove scienziati e ricercatori lavorano per il progresso della conoscenza e del benessere umano. Bacon vede nella scienza il mezzo per migliorare la condizione umana e superare le limitazioni della natura.
In conclusione, le città ideali tratteggiate dai filosofi non sono solo utopie irraggiungibili, ma potenti strumenti di riflessione critica. Esse ci invitano a pensare a come possiamo migliorare le nostre società, ad affrontare le ingiustizie e a costruire un mondo più giusto e armonioso. Queste visioni, pur nella loro diversità, condividono l’aspirazione a una condizione umana migliore, guidata dalla virtù, dalla conoscenza e dalla giustizia.