Il Leviatano di Thomas Hobbes ha una duplice funzione: da un lato fa da sunto all’intera filosofia hobbesiana, dall’altro ha lo scopo di rispondere agli eventi della rivoluzione inglese.
Il Leviatano: lo sfondo storico nel quale ha scritto Thomas Hobbes
Pubblicato nel 1651, poco dopo la pace di Vestfalia che sancì la conclusione della guerra dei trent’anni, il Leviatano di Thomas Hobbes si configura come una risposta alla delicata situazione politica dell’Inghilterra, terra natia del filosofo.
Nato a Westport nel 1588, nella sua autobiografia scrive di essere nato proprio durante la guerra tra Spagna ed Inghilterra:
E mia madre mise al mondo due gemelli: me stesso e la paura.
Il suo parto, infatti, fu prematuro: la madre, spaventata dalle notizie provenienti dalle coste inglesi riguardanti l’attacco dell’Invincibile Armata spagnola, lo diede alla luce prima del tempo. Si può dunque intuire quanto il contesto politico abbia sempre giocato un ruolo cruciale nella vita di Hobbes, formandolo sia come essere umano che come filosofo. La paura, infatti, si può supporre abbia instillato in lui i presupposti per una visione del mondo di stampo assolutistico, nel quale lo Stato è rappresentato dal mostro biblico del Leviatano, e dove il rischio di conflitto è in tal modo ridotto al minimo.
Cos’è il Leviatano e come lo interpreta Hobbes?
Il Leviatano è una creatura dalle sembianze di un drago marino demoniaco, cara sia alla mitologia che alla teologia. Vari sono i riferimenti a questo mostro nella Bibbia ebraica e nel Libro di Enoch, dove viene descritto come un nemico, e fatto coincidere col peccato mortale dell’invidia.
Hobbes chiama così la sua opera per denotare la potenza dello Stato, reso da lui “uomo artificiale”. Non è più, dunque, come nella Bibbia, una figura negativa. Acquisisce dei connotati positivi, quasi rassicuranti: la presenza di un potere centralizzato nelle mani del Leviatano, è l’unica cosa che può assicurarci di evitare il conflitto.
Viene da lui descritto come un sovrano, che in una mano impugna una spada (rappresentazione del potere militare) e nell’altra un bastone pastorale (rappresentazione del potere religioso: vista la riforma protestante è assente un unico interprete della parola di Dio, quindi tocca al sovrano tenere insieme tale potere).
L’opera si divide di quattro parti
- L’uomo
- Lo stato
- Un regno cristiano
- Un regno delle tenebre
La prima parte è dedicata alla stesura di una complessa antropologia, nella quale Hobbes ricostruisce a partire da nozioni basilari – come quelle di senso, ragionamento e linguaggio – la mente umana. Un’operazione a tratti molto contorta, che però è assolutamente necessaria per poter fondare una dottrina politica che si basi sulla fisionomia dell’essere dell’uomo.
Emerge da questo studio la visione di un uomo ansioso, mosso da passioni e da pulsioni che difficilmente riesce a controllare, che si relaziona con gli altri solo per due motivi: la ricerca del piacere e della gloria. Un uomo che, al contrario del Politikòn Zôon (uomo politico) aristotelico, non è portato naturalmente alla socialità: essa, al contrario, si configura come un qualcosa di puramente accidentale.
Ma come si arriva, allora, a quella che è la società e allo Stato?
Per capirlo bisogna prendere in esame alcune definizioni chiave nella filosofia di Hobbes, connesse tra loro da un fil rouge che ci permette di vedere il percorso che l’uomo fa per giungere al patto sociale.
In quello che Hobbes definisce stato di natura, nonché stato brado dell’uomo che ancora non si è aggregato in un’organizzazione di stampo politico, tre sono gli elementi che portano al conflitto:
Cosicché nella natura umana troviamo tre cause principali di contesa: in primo luogo la competizione, in secondo luogo la diffidenza, in terzo luogo la gloria. (Leviatano I, XIII)
Quello che caratterizza lo stato di natura, infatti, sono l’uguaglianza e la libertà: in una condizione di uomini uguali e liberi allo stesso modo, mossi dalle passioni che non riescono a controllare, il passo da uno stato neutrale al conflitto è breve. Con conflitto, però, Hobbes non intende solo la guerra in sé, ma anche lo stato di guerra imminente.
È possibile qui notare come la definizione antropologica di un uomo ansioso sia, tutto sommato, applicabile anche ad Hobbes stesso, che emerge come un uomo in perenne angoscia. Lo stato di natura è dunque una condizione di minaccia perenne, di guerra.
Per descrivere tale condizione il filosofo si rifà ad una figura tratta dalla commedia asinaria di Plauto, quella dell’homo homini lupus: l’uomo è un lupo per l’uomo.
La libertà, caratteristica principale dello stato di natura, viene descritta dal filosofo tramite la definizione di diritto naturale, nonché la capacità dell’uomo di usare il suo potere come egli preferisce al fine di raggiungere la preservazione della propria natura, della propria vita.
A questo punto è lecito chiedersi: ma allora, se l’uomo è così impulsivo, se le sue passioni e manie di sopraffazione sono così ingovernabili dalla ragione, se è così libero di usare il proprio potere per raggiungere i propri fini, come si arriva alla società, allo Stato?
Occorre qui introdurre un altro elemento della filosofia hobbesiana, nonché la definizione di legge di natura, con la quale il filosofo intende dirci che sì, esiste un diritto naturale allo stato di natura che ci rende eccessivamente liberi; sì, siamo mossi dalle passioni, siamo esseri pulsionali; allo stesso tempo, però, esiste una legge di natura che ci permette di autoconservarci: attraverso questa legge, infatti l’uomo riesce ad essere anche razionale, ad avere il momento di lucidità che lo porterà a rendersi conto che non gli conviene vivere allo stato di natura: occorre, anzi, uscire da tale stato tramite il patto sociale, atto irreversibile con il quale l’uomo cede ogni sua libertà al sovrano, rinunciando quindi al proprio diritto naturale.
Nasce, così, lo Stato.
Nella seconda parte Hobbes analizza questa figura artificiale, definendone i poteri ed i limiti: si passa dalla libertà totale all’obbedienza cieca al sovrano, dallo stato di natura allo stato civile. Essendo un assolutista, la forma che egli predilige è quella della monarchia: una visione paternalistica del potere. È meglio che ci sia una sola persona al comando, perché è più facile che si eviti il conflitto. Nella democrazia e nell’aristocrazia, essendoci fazioni, è più facile cadere nella contesa essendoci anche il rischio di una lotta partitica.
Il Leviatano oggi: una filosofia ancora attuale
Il mondo nel quale viviamo oggi è un complesso e delicato sistema di parti, definibile quasi come un domino. Una situazione nella quale è difficile abbandonare la paura, e nella quale il conflitto interessa, che sia direttamente o indirettamente, tutti i cittadini del mondo. Il nostro compito in quanto esseri umani è quello di riflettere su quanto il nostro Leviatano ci stia togliendo, e su quanto ci stia dando, nell’ottica di voler andare verso un mondo migliore, verso un’umanità più distesa e serena. Vivere nella paura, d’altronde, è solo sopravvivenza, e forse, in fondo, non siamo mai davvero usciti dallo stato di natura, e riusciremo a farlo solo quando la nostra Terra troverà un po’ di meritata pace.