Caro Icrewer,
nell’appuntamento odierno con la nostra rubrica filosofica vorrei coinvolgerti in una discussione che, oggigiorno, è diventata estremamente scottante. Si tratta del ruolo dell’Intelligenza artificiale nelle nostre vite, dei vantaggi che essa offre ma anche dei pericoli a cui inevitabilmente ci espone.
Oggi il mondo si divide tra quanti ne osannano la portata rivoluzionaria e l’assoluta modernità e quanti, invece, la condannano completamente, accusandola di voler “cancellare” o sostituirsi al genere umano. Eppure le cose non stanno esattamente così. Ce lo mostrano Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti che nel loro libro Umano, poco umano propongono di combattere lo strapotere delle moderne tecnologie proprio con…la filosofia!
Scopriamo insieme nel dettaglio cosa intendono dirci i due autori!
L’intelligenza artificiale sostituirà il genere umano?
Spesso viene evocata nei talk show, sui giornali o nei media la spaventosa profezia secondo cui l’intelligenza artificiale finirà per soppiantare e sostituire del tutto l’attività umana. Una paura, per certi versi fondata, se consideriamo quanto l’IA è in grado di fare: tradurre testi, scrivere libri, offrire diagnosi, replicare in maniera realistica paesaggi o eventi del passato, e possono anche sostituire camerieri, cuochi, ingegneri nelle loro mansioni.
In verità, per quanto l’intelligenza artificiale, rappresenti in effetti una delle risorse più preziose e insieme più pericolose del XXI secolo, un rischio di questo tipo non esiste. Come spiegano Girgenti e Crippa in Umano, poco umano:
il grande rischio dell’IA non è che essa diventi come l’intelligenza umana, ma semmai il contrario: che l’intelligenza umana smarrisca le sue caratteristiche peculiari e si appiattisca su quella artificiale, venendone travolta.
In sostanza, se ci affidiamo continuamente all’intelligenza artificiale, corriamo il rischio di impoverire la nostra intelligenza, perdendo creatività, immaginazione, capacità logiche e soprattutto emotività, trasporta ed empatia. Il rischio è, in sostanza, che noi ci trasformiamo in delle macchine. E basta guardare i nostri telefoni per comprendere quanto sia vera questa affermazione: le chat hanno perso il testo ma sono piene solo di immagini o, peggio, di lunghi ed esasperanti messaggi vocali.
Infatti, se cervello umano e digitale hanno in comune la capacità di ricevere ed elaborare informazioni, soltanto quello umano può “sentire” quelle informazioni, può cioè provare emozioni. Le emozioni, le sensazioni non sono replicabili dall’intelligenza artificiale. Ma se ci ostiniamo ad affidarci ad essa finiremo col perdere quella che di fatto è la nostra unicità: l’emotività.
Come scongiurare questo pericolo? Affidandosi alla filosofia, ovviamente! Per quanto sia difficile crederlo, l’intelligenza artificiale non è affatto un’invenzione moderna. È soltanto l’ultima che minaccia di impoverire l’intelligenza umana. Ecco, ad esempio, cosa Socrate e Platone scrivevano a proposito della scrittura e dell’arte:
Perché, o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile per la verità alla pittura: infatti le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene, domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto rotola dappertutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no.
Platone, Fedro , 275 DE
Insomma potremmo benissimo credere che qui Platone stesse alludendo all’IA. Una foresta riprodotta con l’intelligenza artificiale, per quanto realistica, non riesce a catturare tutte le sfumature che possiede nella realtà; un’immagine costruita con l’IA è facilmente riconoscibile ma può diffondersi rapidamente in rete passando tra le “dita” di chiunque.
Umano poco umano: Esercizi spirituali contro l’intelligenza artificiale
Il sottotitolo di questo libro parla da sé: attraverso questi “esercizi spirituali” Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti ci mostrano come l’IA non sia il male del secolo e ci insegnano come utilizzarla al meglio senza smarrirci. A dare l’ispirazione per questi esercizi sono i grandi filosofi del passato (Socrate, Platone, Epicuro, Galeno, sant’Agostino, Omero, Eraclito, Aristotele e sant’Ignazio di Loyola) che attraverso delle massime dal sapore delfico, come il famoso “conosci te stesso”, ci aiutano a rimettere al centro la nostra individualità e a preservarla dalle incursioni dell’IA. Ecco qualche esempio pratico!
L’intelligenza artificiale appiattisce la nostra intelligenza, ci costringe a pensare meno, anzi ci “disabitua” a pensare. Per combattere questa pericolosa deriva intellettiva bisogna recuperare l’insegnamento di Socrate, il maestro che attraverso la sua “maieutica” ci spingeva a ragionare, a cercare e trovare da soli le nostre risposte. Leggere in solitudine, scrivere con carta e penna, meditare dopo una lezione di yoga…sono solo alcuni degli esercizi che possiamo svolgere per mantenere allenato il nostro cervello e, nello stesso tempo, per riscoprire noi stessi.
Prendersi del tempo per noi stessi è importante, certo, ma lo è altrettanto recuperare quella socialità che internet sembra aver cancellato. L’IA manca di emotività: i rapporti che si creano sul web non sono reali se rimangono tra il numero di “followers” di un social network. Un buon esercizio è quello di tornare all’edonismo antico di Epicuro, riscoprire la bellezza di un’uscita con amici e parenti che è, senza dubbio, decisamente più gratificante che postare una foto su facebook.
Anche riguardo l’intrattenimento e i giochi, regno assoluto dell’intelligenza artificiale, la filosofia può dirci qualcosa. Per molti filosofi del Novecento come Johann Huizinga il gioco è un’attività essenziale per l’essere umano perché ci permette di scoprire noi stessi, interagire con gli altri e prepararci alla vita. Le nuove tecnologie hanno prodotto giochi sempre più elaborati, dettagliati e realistici ma anche violenti, aggressivi e sembrano essere strutturati per creare dipendenza. L’esercizio, in questo caso, è un ritorno allo sport, ai giochi all’aperto o ai vecchi giochi da tavolo.
Questi offrono non solo un divertimento più sano ma anche una socialità diversa, più vera ed ampia, non come quella “illusoria” di condividere lo schermo con una miriade di altri giocatori online. E il divertimento è assicurato e ancor più gratificante! Perché, ammettiamolo, non c’è trionfo più grande che trovare il proprio amico mimetizzato in un cespuglio durante una partita a nascondino.