Chi da piccolo non ha imparato a memoria una filastrocca, alzi la mano. Se avessi la possibilità di vedere chi sta leggendo in questo momento, non credo vedrei mani alzate. Ne sono convinta. A casa, a scuola, nei giochi, nelle prime letture, la filastrocca troneggia ovunque nel raggio del microcosmo infantile. Usata spesso come esercizio mnemonico, specie all’asilo o scuola dell’infanzia come si chiama oggi, la filastrocca è la prima forma poetica con cui si viene a contatto, anzi si può dire sia una buona introduzione alla poesia.
I più illustri pedagogisti affermano che favole e filastrocche ricoprono un ruolo di primaria importanza nella crescita intellettiva di un bambino, in quanto oltre a favorire lo sviluppo del linguaggio, sviluppano le capacità cognitive e mnemoniche. Direi che non è poco. E poi, dimmi tu caro lettore, se non è da stritolare di baci un bimbo che tutto serio e compìto recita le prime filastrocche imparate a scuola!
La filastrocca, come genere letterario, ha origini antichissime: la facilità di memorizzazione, grazie al ritmo e alle rime, ha permesso che parecchie di esse siano state tramandate di generazione in generazione, quasi come gioielli preziosi di famiglia. Pur non essendo poesia, la filastrocca diciamo che le somiglia, se non è sua sorella, è parente molto prossima: semplice, con versi facili, spesso con tematiche divertenti o a tono di burla, non si può definire poesia proprio per queste sue caratteristiche peculiari.
La filastrocca: note tecniche
Si può senza dubbio affermare che la base primaria della filastrocca è il ritmo, anzi direi una precisa musicalità che accompagna la cadenza dei versi e delle rime. Anche la presenza di rime contribuisce a rendere musicale il testo, siano esse rime baciate, rime ABAB o ABBA. Rime a parte, la musicalità è data dalle assonanze, dalle allitterazioni, dalla ripetizione di sillabe e aggiungerei anche dal posto degli accenti all’interno o alla fine delle parole.
In definitiva ciò che conta in una filastrocca non sono tanto i versi più o meno densi di significato o di messaggi importanti, ma il ritmo e la ripetitività che la rendono musicale e quindi facile da ricordare.
Per ciò che riguarda le strofe, che in poesia possono essere composte da più versi (due versi prendono il nome di distico, tre si definiscono terzina, quattro versi quartina, sei versi sestina, otto versi ottava), la filastrocca presenta in genere due versi, quindi è un distico: ogni due versi c’è uno spazio bianco, di conseguenza i versi possono presentarsi raggruppati a due a due. È ovvio che non è una regola rigida nè tanto meno fissa: come in poesia, la libertà di espressione e di metrica può spaziare liberamente.
Le filastrocche come le fiabe ebbero la loro prima formulazione nei dialetti, per questo ogni regione italiana ha un suo patrimonio di filastrocche. Inoltre ripetute e ricordate a memoria, aggiungendo o togliendo parole si tramandavano quasi sempre in maniera diversa: questo spiega la grande varietà di filastrocche giunte fino a noi.
La filastrocca alle origini
Una tradizione antichissima, tanto da non riuscire neanche a conoscere l’esatta etimologia della parola stessa. Qualcuno ha ipotizzato che “filastrocca” possa derivare dalla fusione di “filum” – (sequenza, continuo), alludendo alla sequenza di suoni e versi di cui si compone – con una contrazione del termine latino “istrione” (un tipo di seta).
Altri sostengono che il termine derivi dalla compresenza di due imperativi: “fila” (dal verbo “filare”) e “strocca” (dal veneto “strucar”, che significa spremere, stringere), con riferimento alle due operazioni che si ripetono nella filatura, quella di tirare il filo e poi di stringerlo tra le dita. Ma non finisce qui, la parola filastrocca potrebbe derivare anche da “filatessa”, un particolare tipo di nenia che le filatrici intonavano per accompagnare il loro lavoro.
Qualunque sia la sua origine, questa parola porta con sé un bagaglio di tradizioni che si dividono in un ampio ventaglio di generi, quali cantilene, ninne nanne e scioglilingua, il cui obiettivo è tanto didattico quanto morale, ludico e ricreativo.
Non mancano però, le filastrocche d’autore: molti poeti e scrittori da Nico Orengo, Roberto Piumini a Gianni Rodari e molti altri, hanno creato poesia sullo stile leggero e divertente che caratterizza le filastrocche. E se il primo approccio con questo tipo di lettura può risultare divertente, non mancano tra le righe messaggi capaci di far riflettere. L’estro particolare di un poeta riesce a trasformare anche una filastrocca in poesia, trattando tematiche importanti con tono leggero. Scherzando e celiando a volte si dicono le verità più vere.
Indovinami, Indovino,/ tu che leggi nel destino:/ l’anno nuovo come sarà?/ Bello, brutto o metà e metà?”./“Trovo stampato nei miei libroni/ che avrà di certo quattro stagioni,/ dodici mesi, ciascuno al suo posto,/ un Carnevale e un Ferragosto/ e il giorno dopo del lunedì/ sarà sempre un martedì./ Di più per ora scritto non trovo/ nel destino dell’anno nuovo:/ per il resto anche quest’anno/sarà come gli uomini lo faranno!”./
Quella che hai appena letto è Filastrocca per l’anno nuovo di Gianni Rodari, autore che ho già trattato… La si definisce filastrocca ma a mio avviso è “qualcosa” di più rispetto alla stra-famosa Ambarabà cicì cocò/ tre civette sul comò/ che facevano l’amore/ con la figlia del dottore…./ O no?
Filastrocca, perché?
La naturale inclinazione umana di tradurre le emozioni dell’anima in scrittura, ha creato prima che la prosa, la poesia: sono in versi le prime opere giunte fino a noi dall’antichità e forse non è esagerato dire che il bisogno di poesia nasce con l’umanità stessa.
Bisogno che non appartiene soltanto alle classi sociali più acculturate, chiunque può esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni attraverso la poesia, sia essa recitata o cantata, sia essa espressa in forma semplice o più articolata, sia essa poesia lirica o semplice filastrocca.
La filastrocca ha probabilmente sin dall’inizio dei tempi sopperito al bisogno poetico delle persone più semplici, di coloro che magari non avevano un’istruzione alta ma che conservavano nell’anima il desiderio di poesia. Serviva ad avvicinare la gente più semplice al mondo delle parole difficili e rimate, la immetteva nel regno magico dei versi in rima, belli da ascoltare, da recitare, da imparare e tramandare.
La filastrocca non è poesia, lo affermo senza timore di essere smentita, ma le somiglia molto.