Ferie al paese è una poesia di Filippo Giordano, inserita nella silloge Se dura l’inverno del 1980 e ripubblicata in Nebrodiversi, raccolta del 2017 che comprende tutta la sua produzione poetica dal 1973 al 2017. Ho avuto modo di presentarti Filippo Giordano… E quindi non aggiungo altro. Caso mai non ti ricordassi, ti rimando ad un mio articolo di Poesia e vita, vita è poesia, interamente dedicato a lui. Diciamo pure che lo conosco molto bene? Intanto gustati la poesia e poi capirai il perchè della mia scelta di oggi…
Ferie al paese
Agosto. Sono tornati
uomini fatti di saluti agli amici,
dispersi nell’anno, a Torino
o chissà e ora ritrovati,
magari solo per un’ora
perchè delle ferie non hanno
lo stesso altare di giorni.
E su queste pietre, ridiventati
lucertole al sole, meditano
che qui il riposo non ha incubi
di solitudini abbarbicate ai grattacieli.
Parto da qui, da questa poesia, in questo post-ferragosto quando la parabola dell’estate comincia a discendere e le ferie estive si sono già quasi consumate con i loro cliché fatti di ritorni al paese d’origine. Già il paese. Le ferie al paese: il nostro piccolo microcosmo, nel contesto del macro è solo un puntino straluccicante di addobbi, lungo il corso. Eppure, sembra il centro del mondo per chi ritorna, per chi ha qui la patria del cuore.
Le radici non si dimenticano. Nell’anonimato di una grande città, si può forse avere il benessere economico, i servizi e tutto quello che la pubblicità e i consumi impongono, non si ha però la sensazione di essere “a casa”. Girare per le strade e riconoscere un pezzetto di ricordo, lasciato lì per caso, un profumo nell’aria, un sapore, un volto amico che anche se con qualche ruga in più sorride, ripaga un anno di assenza.
Gli agrumi trapiantati sulle Alpi del poeta, hanno bisogno del concime e del sole degli affetti rimasti qui, per fruttificare:
Voi che ogni volta mi sembrate non avere cuore di ripartire, ma solo testa, cosa siete voi, agrumi, forse, trapiantati sulle Alpi? da: Rami di scirocco, F.Giordano
Ferie al paese, il rito e il ritorno
Lieti visi annegano in abbracci distanze, forzate o volute. Calda notte di gaiezza festosa di suoni e rumori, risate e parole. Mentre di solitudine c’è chi riempie una panchina.
Un paese, il sonno, la veglia
Il mio paese dorme sui Nebrodi, in montagna, con la canicola estiva che lo scalfisce appena (dove dorme il tuo?) e il suo sonno è pesante e duraturo. Ogni tanto apre un occhio, guarda intorno, forse si alza per fare pipì… E poi ritorna a sonnecchiare se non a dormire profondamente. Strano paese! Si sveglia solo in qualche periodo della stagione estiva, ma le ossa stanche faticano a mettersi in piedi e ad ogni anno che passa gli acciacchi producono l’effetto dimagrimento tipico di chi è prossimo alla dipartita.
Si sveglia al suono della banda che annuncia la festa del Santo Patrono, (centurione nell’antica Roma, trafitto e accoppato per motivi di credo religioso) che suona distesa il Flic-floc dei bersaglieri che niente a che vedere nè col Santo nè tanto meno con la Fede, ma tant’è! Potere taumaturgico di un Santo e di una marcia dei bersaglieri…!
Il sonno scompare e lo strano paese si rianima, si ringalluzzisce per 2 settimane, si veste a festa e si stampa in faccia il sorriso migliore… Poi, poi ritorna a dormire. Troppa fatica stare svegli 2 settimane. Lo strano paese si ridistende sul suo letto di monti, chiude gli occhi e riposa.
Mentre chi ci vive, resta schiacciato dal suo peso inerte, ma non si muove: aspetta un altro risveglio e altri ritorni.