Caro iCrewer torno a parlare di questo libro, Cadrò, sognando di volare di Fabio Genovesi, che ti avevo già presentato in un altro articolo di questa rubrica, perché voglio approfondirne alcuni aspetti che mi sono sembrati molto interessanti.
Inizio dai personaggi: alcuni sono talmente “normali” che davvero potresti conoscerli, potrebbero essere i tuoi vicini di casa, altri sono assurdi, al limite dell’inverosimile, ma potenti al punto da rimanerti impressi nella mente.
Il personaggio principale, Fabio, un ragazzo di 24 anni, è segnato da un profondo dolore che gli ha cambiato la vita. Un peso che si porta avanti e che ha condizionato anche le sue scelte. Infatti studia giurisprudenza senza avere per questa materia il minimo interesse. Continuerà sulla strada intrapresa perché sarebbe troppo faticoso e difficile dire la verità deludendo le persone che ama.
Ma la vita gli dà un’occasione o, vedendola da un altro punto di vista, gli toglie un’opportunità. Questo Fabio lo scoprirà molto più tardi. Prima conoscerà Don Basagni, il direttore del convento dove viene mandato a svolgere il servizio civile, un prete burbero e surreale che non sembra avere alcuna vocazione, ma ha dentro il fuoco della passione per il ciclismo e in particolare per Pantani, che è il suo idolo.
La storia di Fabio si intreccia a quella del prete e al racconto delle imprese di Pantani, per mostrare la possibilità che ognuno di noi ha di segnare il proprio confine tra possibile e impossibile.
Ma ogni tanto, all’improvviso, arriva una piena di emozione, una scarica portentosa e irresistibile ci solleva e ci scaraventa di là, dove pascolano i nostri sogni, spazzando via regole, abitudini, piani, previsioni, tutti quei sentieri scavati nella roccia a forza di passi prudenti e sempre uguali.
In effetti dipende proprio da noi, ma a volte non comprendiamo quanto sia mobile quel confine fino a quando non ci decidiamo a fare solo un passo in più. Spesso viviamo vite che non ci piacciono perché abbiamo preso una direzione e continuiamo su quella, un po’ per abitudine e un po’ per paura, finiamo per rimanere sul binario ormai intrapreso per sempre pensando che cambiare sia impossibile. Fabio ha il coraggio di buttare via tutto, la cosa bella è che anche se ciò che accadrà non è meraviglioso e strabiliante, è sicuramente meglio di quella vita che non si era scelto e che non gli piaceva.
Un altro aspetto che mi è piaciuto è l’ambientazione del romanzo: un convento sperduto tra i monti, un luogo che deprimerebbe chiunque ma che per Fabio rappresenta la salvezza, una sorta di rifugio dalla vita che non vuole. In questo posto il tempo è scandito solo dai pochi compiti che Fabio svolge e dalle tappe del giro.
Il tempo è un altro tema chiave di questo romanzo: il passare dei giorni è un inganno, una trappola che noi stessi ci costruiamo, e che ci condiziona.
Noi nasciamo in questo mistero infinito che è il tempo che ci prende e ci porta, ci lascia e ci travolge, e vogliamo capirlo, dominarlo vivere secondo un ritmo nostro…
….Ci siamo messi in gabbia da soli. Ci siamo invecchiati da soli.