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Recensione: Evoluzione della gastronomia di Renzo Bagnasco

Donatella De Filippo 5 anni fa Commenta! 5
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QRenzo Bagnascouando è la passione a guidare la ricerca, il risultato, qualunque esso sia, è sempre da apprezzare, se questa poi è volta a svelare arcani segreti culinari oltre a comprenderne gli aspetti sociologici e i legami culturali che nel tempo hanno contribuito a rendere l’arte del “convivio” un momento degno di essere assaporato, allora è ancora più lodevole. Detto questo, mentirei se dicessi che Evoluzione della Gastronomia, il libro di Renzo Bagnasco, verso il quale esprimo un doveroso rispetto per le buone intenzioni, mi abbia particolarmente coinvolta. Inizialmente ci riporta brevemente ad una realtà antica, la più semplice da raccontare per la frugalità degli alimenti, le contingenze ambientali e sociali che, in qualche modo, hanno consentito di comprenderne meglio gli usi e i costumi e il loro rapportarsi. Tuttavia, al di là delle competenze dimostrate dall’autore, s’intuisce una spiccata tendenza ad evidenziare ciò che gli è più affine come cultura e origini.

Ziti alla GenoveseIl legame viscerale con la propria terra rimane immutato nel tempo e su questo non ci piove, che dai Romani si dovesse partire per dare al saggio un primo riferimento storico era giusto e doveroso, dedicare più della metà delle pagine alla Genova del cuore un po’ meno. Con questo non voglio dire che il capoluogo ligure, in quanto centro e porto commerciale di rilievo, non abbia avuto, nei secoli scorsi, un ruolo fondamentale nell’impostazione di una cultura culinaria tutta personale e rappresentativa di un territorio gastronomicamente generoso. Bagnasco, da bravo cantore della cucina ligure, non si fa sfuggire l’occasione di omaggiare Genova e la capacità dei genovesi nel soddisfare il palato dei commensali dell’epoca con cibi freschi, di prima scelta e particolarmente curati, segno di un profondo attaccamento alla cultura d’origine ma con un occhio attento alla borsa.

Il pensiero è sorto subito spontaneo: qualora scegliessi un giorno di sostare nella bella città ligure, la cosa migliore da fare sarà chiedere al cameriere un bel piatto di ziti alla genovese con contorno di bry e un bel bicchiere rosso di Genovese piuttosto che la pasta alla carbonara o con cime di rape, in quel caso i rischi di un linciaggio morale sarebbe elevatissimo. Le perplessità tuttavia, sono nate quando andando avanti nella lettura dei diversi capitoli, lo spirito generale della ricerca si è affievolito perdendo in obiettività; l’uso eccessivo di frequenti termini di paragone mi ha fatto pensare più al desiderio di sbandierare un’identità universale da riconoscere a tutti i costi che la reale esigenza di condividere con il lettore una evoluzione gastronomica che appartenesse a tutti.

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Gastronomia nel Rinascimento

Riconosco il tentativo da parte dell’autore di essersi improvvisamente ripreso dall’inebriante effetto del vino genovese spostando alla fine l’attenzione sulle dinamiche culinarie rinascimentali. Nonostante un linguaggio quasi aulico e non sempre scorrevole, l’ultima parte del saggio è molto interessante, forse perché più obiettiva. Mi ha fatto piacere scoprire quanto a Carlo Alberto piacessero le salsicce di vitello o che il Conte di Cavour non rinunciasse mai ai suoi sigari dopo aver assaporato un buon risotto ai tartufi d’Alba o condividere con Mazzini il piacere di gustare una bella torta alle mandorle, l’avrei gradita anch’io, senza dubbio. Da Garibaldi ai Savoia passando per Napoleone, il Rinascimento stupisce per varietà di gusti, aneddoti e virtuosismi culinari, ma alla fine il mio personale ringraziamento va a Mister Artusi, colui a cui va il merito di aver valorizzato la cucina italiana trascrivendo in un prontuario le ricette di una Italia finalmente unita. Al di là di un giudizio per alcuni aspetti severo, ciò che giustifica e da un senso al saggio di Bagnasco è la consapevolezza che la gastronomia è senza alcun dubbio legata all’evoluzione della società e con essa partecipa da protagonista agli eventi della storia.

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