Cosa può scaturire da una poesia trovata e letta per caso? Se sei curioso, leggi
Emily Dickinson, poetessa statunitense, scelse di vivere gran parte della sua vita in isolamento dentro la sua camera, al piano superiore della casa paterna. Vestiva solo di bianco e credeva che con la fantasia si potesse ottenere tutto
Un altro giorno sospeso declina, un altro giorno non vissuto come di consueto passa quasi indifferente sulla pelle, sulle palpebre, scorre tra le dita e scivola piano verso la notte. Un altro giorno è andato e ho perso il conto delle ore e dei minuti: è un tempo eterno scandito solo da albe e tramonti in continuo susseguirsi.
Così, stasera da questo balconcino sospeso fra la strada e i tetti, leggo il cielo che si dipinge dei colori del tramonto: pennellate di rosso, rosa, arancio e violetto si alternano e rincorrono, sullo sfondo dell’azzurro cupo della notte imminente. E mentre il giorno rotola piano verso il declino, mi perdo tra spirali di pensieri e galleggio fluttuando sul reale.
Ho voglia d‘infinito stasera, sento il bisogno di guardare oltre la prigione del mondo; vorrei intuizioni che trapassassero il muro dell’umana sensibilità e dell’ordine primordiale delle cose; capire come e perché le ore rincorrono il tempo e scandiscono le stagioni in un eterno ciclo che rinnova la vita; vorrei penetrare i segreti processi stabiliti con certosina cura dal nadir primordiale; sapere chi tiene il conto delle gocce di rugiada al mattino, dei passi della tartaruga, chi armonizza le note del pettirosso… Ho voglia di bere questo tramonto in una tazza.
Portami il tramonto in una tazza
conta le anfore del mattino
le gocce di rugiada.
Dimmi fin dove arriva il mattino
quando dorme colui che tesse
d’azzurro gli spazi.
Scrivimi quante sono le note
nell’estasi del nuovo pettirosso
tra i rami stupefatti, quanti passetti
fa la tartaruga.
Quante coppe di rugiada beve
l’ape viziosa.
Quanta bellezza intorno, ignorata dalle corse quotidiane; quanta indifferenza negli occhi distratti da regole umane volte solo all’efficienza e al profitto; quanta vita pulsa nel respiro dell’immenso e passa inosservata; quanto cielo stasera si riversa sulla terra desideroso soltanto di essere guardato… Ho voglia di bere e assaporare questo tramonto in una tazza.
E chi gettò i ponti dell’arcobaleno,
chi conduce le docili sfere
con intrecci di tenero azzurro.
Quali dita congiungono le stalattiti,
chi conta le conchiglie della notte
attento che non ne manchi una.
Chi costruì questa casetta bianca
e chiuse così bene le finestre
che non riesco a vedere fuori.
Chi mi farà uscire con quanto mi occorre
in un giorno di festa
per volare via in pompa magna.
(Emily Dickinson Da Poesie, Portami il tramonto in una tazza, traduzione di Bruna Dell’Agnese)
Toglietemi tutto ma non la poesia
Così si esprimeva Emily Dickinson, autrice dei versi che ho letto e commentato a modo mio, così funziona a volte la poesia: ti capita di leggere un autore, del passato o del presente non importa, di scorrere le pagine di un libro, di trovare un titolo che coinvolge la tua attenzione e di leggere. E leggendo, di perderti. E non occorre aggiungere altro. L’emozione non ha bisogno di tante parole ma solo di diverso sentire.
Intanto, da un balconcino sospeso tra la strada e i tetti, in una tiepida sera di primavera, mi bevo questo tramonto in una tazza gustando il tempo che scorre lento, nel silenzio irreale di questi giorni sospesi. E se stai pensando che la quarantena forzata di queste settimane produce strani effetti, ti dico che forse hai ragione, ma aggiungo che la poesia ha il potere di produrne un numero incalcolabile…
Emily Dickinson, una vita dedicata alla poesia
Emily Dickinson, nacque ad Amherst, in Massachusetts (USA), nel 1830. La sua famiglia molto in vista nella comunità locale non era benestante, ma svolgeva un ruolo fondamentale nella vita sociale, culturale e politica statunitense. Di rigidi costumi, i genitori impartirono alla giovane Emily un’educazione restrittiva e priva di affettività.
Emily, intelligente e brillante, frequentò l’Accademia di Amherst per sette anni e in seguito fu allieva di una delle scuole più importanti del New England ma la abbandonò presto, ribelle e intollerante delle regole religiose restrittive e rigide che la scuola imponeva, proseguendo gli studi da autodidatta.
Emily Dickinson iniziò la sua carriera letteraria negli anni fra il 1850 e il 1860, quando nel New England la poesia divenne un genere molto popolare. Per le donne, in quel periodo però era difficile intraprendere qualsiasi professione e figuriamoci quella di scrittrice! Emily coltivò la sua passione nel segreto, scrivendo centinaia di poesie, venute alla luce solo dopo la sua morte. Pur essendo scettica nei confronti della religione, coltivò un grande interesse per la spiritualità: la contraddizione tra il dubbio e la ricerca appassionata della “verità” fu alla base della sua intensità poetica, presente in gran parte delle sue tematiche.
Ad un certo punto della sua vita, decise di vestire esclusivamente di bianco, simbolo di purezza: forse un bisogno inconscio, forse una piccola follia, e di ritirarsi in isolamento nella sua stanza. Quella camera diventò il suo microcosmo circoscritto da pareti, dove però la fantasia spaziava e circolava libera e fervida. Un universo racchiuso in quattro mura che la isolavano dai suoi simili ma non dal mondo.
Da quella stanza non uscì mai da viva, neanche quando morirono i genitori (Con una nota poco poetica mi viene da pensare che, alla nostra Emily, la reclusione forzata da covid-19 avrebbe fatto un baffo). Mantenne tuttavia un’intensa corrispondenza con alcuni amici fidati e selezionati che facevano da tramite tra lei e gli eventi storici e culturali più importanti del tempo, cui la Dickinson era molto interessata.
Fu una scrittrice e poetessa dalla penna prolifica, ma solo pochissime delle duemila poesie composte furono pubblicate durante la sua vita. Emily Dickinson conservava i suoi scritti su foglietti accuratamente ripiegati e cuciti tra loro con ago e filo, in un cassetto della sua camera: furono ritrovate dalla sorella Lavinia solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1886 a causa di una nefrite.
Il suo valore poetico e letterario non fu riconosciuto dai contemporanei, così come accade spesso anche ai nostri giorni: Emily scrisse imperterrita per se stessa e per coloro che la amavano. Incluse molte delle sue poesie nelle lettere che scriveva a parenti e amici, unico contatto questo che volle stabilire con il mondo esterno.
Solo nel XX secolo i critici moderni hanno rivalutato l’opera di Emily Dickinson, considerandola una delle fondatrici della poesia americana.
La prima raccolta Poems by Emily Dickinson (Poesie di Emily Dickinson) fu pubblicata postuma nel 1890 conteneva centoquattordici composizioni. Nel 1891 fu pubblicato il volume intitolato Poems: Second Series, e nel 1895 la raccolta Poems: Third Series. A queste prime edizioni, nel corso degli anni ne sono seguite parecchie: oggi Emily Dickinson, è una degli autori più letti e conosciuti in tutto il mondo. A dispetto delle chiusure mentali dei contemporanei, il tempo restituisce sempre giustizia all’estro creativo dei veri artisti.