Bentornato iCrewer! Come avrai intuito dal titolo dell’articolo, oggi ti presento la recensione di Wild life di J. Reed, edito da Elison publishing.
Vorrei iniziare parlandoti un po’ del genere, o forse dei generi, in cui potremmo far rientrare questo libro. Esatto, generi, al plurale, in quanto quello di J. Reed è un romanzo che raccoglie in sé elementi diversi, creando un mix interessante.
Ti faccio un esempio: la protagonista Jodie, è un’adolescente alle prese con i problemi tipici di quell’età. La sua storia d’amore si è conclusa in modo molto brusco, lasciandole il cuore infranto, e lei ha finito per compiere un’azione che, con il senno di poi, non l’ha resta per nulla fiera di se stessa.
Per cercare di riportarla sulla retta via, i genitori hanno acconsentito a farla partecipare a un progetto scolastico estivo: due settimane immersi nella natura.
Ecco, qui la faccenda dei generi letterari comincia a farsi complessa, perché quello che inizialmente sembrava un romanzo di formazione, prende sfumature decisamente thriller e quasi horror, tanto è il sangue che scorre nelle leggende narrate intorno al falò. E considerando che il racconto di questi miti è parte integrante della trama, direi che è proprio necessario prenderli in considerazione.
Tu cosa ne pensi? Se dovessi consigliare il libro di J. Reed e ti venisse chiesto a quale categoria di romanzo appartiene, risponderesti con un minimo di spiegazione della trama, o con il sempre sorprendente “Lo lascio decidere a te. Leggilo, e poi fammi sapere dove lo collocheresti”?
Wild life: la mia recensione di J. Reed
Nel complesso, Wild life non mi è dispiaciuto. Il passaggio da “escursione volta alla crescita personale” (un po’ sullo stile di Wild di Cheryl Strayed), a viaggio più inquietante e fitto di misteri ha movimentato la trama, rendendola interessante.
Lo stile è molto colloquiale e informale – quasi un flusso di coscienza – soprattutto alla luce del fatto che la voce narrante è quella della protagonista.
Ecco, è proprio dal modo di usare le parole, che si nota il cambiamento di Jodie, pian piano sempre meno arrabbiata, più serena e disponibile ad andare incontro a chi le sta attorno. Anche la sua ironia cambia faccia: non più sarcastica e pungente, come nei primi capitoli, ma consapevole e leggera, sebbene sempre coerente con la storia e con il personaggio.
Vengono affrontati vari temi di attualità, come l’amore e il rispetto per se stessi e per il proprio corpo; la difficoltà di convivere con varie condizioni patologiche e, più in generale, il contrasto tra le aspettative che la società crea e la realtà.
Ho apprezzato la presenza nella narrazione dei miti delle popolazioni native americane. Sarà che si tratta di un argomento che mi affascina sempre, ma è stato estremamente interessante leggere queste leggende. Non ho capito, invece, la scelta di riferirsi alle tribù native come “indiani d’America“. Ora, comprendo che scrivere in continuazione “nativi americani” possa appesantire la narrazione, però l’epiteto “indiani” non solo è scorretto (soprattutto nei passaggi in cui viene omesso l’aggettivo “americani“), ma potrebbe anche urtare la sensibilità di alcuni. So che è il modo più comunemente usato per riferirsi a questi popoli, ma ciò non toglie che si possa bypassare il problema delle continue ripetizioni citando, per esempio, i nomi propri delle singole tribù.
E rimanendo sulla scia di ciò che mi ha lasciato perplessa, dopo più di centottanta pagine, devo proprio togliermi un sassolino dalla scarpa. Passino le sviste di revisione, i due o tre accenti scappati, qualche discordanza di genere grammaticale e la punteggiatura a volte non proprio chiara, ma “gli” usato sempre, ovunque e con chiunque a un certo punto mi ha stancato. Il suo corretto utilizzo è previsto come articolo determinativo plurale davanti a sostantivi plurali che iniziano con vocale o con particolari combinazioni consonantiche, o come pronome personale di terza persona maschile, singolare e plurale, in riferimento al complemento di termine. Ciò significa che “dissi a lei” (per fare un esempio eh), è “le dissi“, non “gli dissi”.
La cover del romanzo di J. Reed è molto bella e d’effetto; credo che catturi pienamente la liberazione spirituale ed emotiva che Jodie sperimenta nel corso del suo viaggio.
In conclusione, direi che Wild life è un romanzo niente male. J. Reed sviluppa la trama in direzioni inaspettate, che rendono il racconto interessante.