I drabble sono racconti che nascono, vivono e muoiono in cento parole: cento, né una di più né una di meno, prova pure a contarle, io non nego di averlo fatto per curiosità. La particolarità sta proprio nel fatto che l’autore deve esprimere le proprie opinioni in poco spazio.
Nato in Inghilterra, come gara a tempo e su un tema specifico fra scrittori al Monty Python’s Big Red Book, il drabble è stato codificato come genere letterario, dall’Università di Birmingham.
Così scriveva Maura in un suo articolo del Febbraio 2019 trattando il drabble, un genere letterario particolare che si esprime in racconti brevi, soltanto cento parole per una mini storia dal senso compiuto. Io stessa ho avuto modo di trattare l’argomento recensendo Volevo fare il cantautore Indie, libro diviso in due sezioni del collega di redazione Stefano Buzzi. Se non ricordi, caro lettore, ti rimando al mio articolo per la rubrica Poesia e vita, vita è poesia.
Per quanto mi riguarda, ho incontrato il drabble diversi anni fa attraverso una rivista letteraria, Alla bottega che, oltre a trattare di poesia, tratta di nuove avanguardie italiane ed estere, ricordo che leggendo rimasi affascinata dal contesto e dalle modalità con cui si svolgevano le gare di drabble. Gare starai pensando? Sì gare, non stupirti perchè all’inizio di vere e proprie gare si trattava.
Le gare di drabble tra autori, avevano un tempo e un argomento ben determinato: la vittoria era di chi per primo riusciva a completare un mini racconto entro un termine stabilito (in genere mezz’ora ma la scadenza poteva essere elastica). Il formato di cento parole, titolo escluso ma non sempre, fu codificato negli anni ’80 dalla Science Fiction Society dell’Università di Birmingham. Tra gli autori più illustri che hanno usato questa forma letteraria si possono citare: Brian Aldiss, Gene Wolfe e Lois McMaster Bujold.
In Italia che io sappia, ci sono pochissimi esperimenti drabble e tutti conosciuti poco. –Peccato!- mi viene da pensare, perchè potrebbe essere un genere letterario che si sposa benissimo con la prosa poetica: potrebbe essere una terza via tra la poesia e la prosa. Ovvio, è un pensiero personale che magari farà storcere il naso agli addetti ai lavori, quelli con la laurea e con la K maiuscola.
Drabble: io sperimento
E quindi? E quindi dal momento che sono curiosa e mi piace sperimentare cose nuove o almeno provarci, io provo. Ti propongo tre dei miei Esperimenti drabble. Mi sembra doveroso chiamarli “esperimenti” per alcuni motivi fondamentali: in primo luogo perchè non mi sento esperta di scrittura in prosa, in poesia e neanche in prosa poetica; in seconda istanza non è detto che mi riescano bene e che possono piacere a chi ha la bontà di leggerli; in ultima analisi ho pensato di utilizzare dei versi di brani musicali, per auto-darmi un tema e anche perchè i testi scelti, per vari motivi, mi toccano da vicino. Un esperimento in tutti sensi, come puoi vedere.
Posso augurarti buona lettura?
“… fai buon viaggio e poi, poi riposa se puoi” (da Lettera a G., L. Ligabue)
A mia madre (diversamente viva)
E di sonno eterno trovai quel tuo mattino. Silenziosamente, come negli ultimi tuoi giorni, scivolasti dormendo per sempre.
E sempre muto e solo mio è stato il dolore, seppur mitigato dal tempo (dieci anni ormai) mentre con gli occhi, mi parli e sorridi ancora da una lapide.
E certi giorni, mantengono accesa la memoria di te come in un eterno presente.
E si appiana il pensiero di antichi scontri, dentro la dolcezza del ricordo di quando mi dicevi: ‘Arrivicci figghia mia e pui mu cunti’…
E te lo racconto, ora te lo racconto, tutto il peso che questa vita porta.
“Il carrozzone va avanti da sé, con le regine, i suoi fanti, i suoi re. Ridi buffone per scaramanzia, così la morte va via…” (da Il carrozzone, Renato Zero)
E poi dicono che sono solo canzonette. Mio padre, operaio ignorante, (nel senso che non aveva avuto la possibilità di studiare) amava Renato Zero e io mi stupivo, non capivo come mai. Lui, cresciuto in epoca fascista, con le canzonette piene di fiori, amori e cuori, si appassionava ai testi e alla musica di Renato Zero, distante anni luce, in tutti i sensi, da lui.
Forse ora comprendo: ho sottovalutato mio padre e il suo modo di addentrarsi nelle cose, pur non avendo studiato.
Lui, operaio ignorante, aveva capito come gira il mondo più delle teste d’uovo con mille lauree.
“E credevamo a un domani sereno, quando avevamo cent’anni di meno” (da Cent’anni di meno, Pierangelo Bertoli)
No, non è il fatto di essere nostalgici né tanto meno di indorare le pillole amare che il passato ha propinato. Le abbiamo ingoiate e alcune digerite mentre altre, hanno cambiato per sempre le nostre funzioni metaboliche. Ma quando avevamo cent’anni di meno la fiducia infinita dentro l’anima, aveva il sapore di un domani sereno (Bertoli mi consentirà di usare le sue parole). Ora che il domani accorcia i suoi giorni e i rigurgiti di odi che credevamo resettati, riemergono dal passato che ciclicamente ritorna, non abbiamo più incanti e forse neanche speranze.
Abbiamo cent’anni di più.
Drabble, per concludere…
Basta così per oggi. Solo un piccolo assaggio: come per il cibo se è di gradimento si continua a mangiare, in caso contrario si passa ad un altro piatto. Adoro le metafore e di tanto in tanto me le consento, in tutti i sensi… e a proposito di metafore, letteralmente la parola inglese drabble si traduce con infangare, imbrattare, oppure con infangarsi, imbrattarsi… Avrà avuto un senso adoperarla per definire un genere letterario? Da rifletterci.
Mia cara Pina leggo solo ora i “tuoi” splendidi tentativi di drabble e li trovo azzeccatissimi e molto suggestivi. Mi hai fatto venir voglia di provare… continua a farmi sognare.
Grazie Ornella, ♥️ proverò a portare a termine questo progettino….
P. S. Se hai il “dono” della sintesi, non è difficile scrivere drabble.