Annalisa Cegna, docente di storia contemporanea all’Università di Macerata, ha pubblicato un nuovo libro dal titolo “Donne pubbliche – Tolleranza e controllo della prostituzione nell’Italia fascista”. Questo volume, edito da Viella, offre un’analisi approfondita e toccante della prostituzione durante il ventennio fascista in Italia, basandosi su documenti inediti e lettere delle stesse prostitute.
“Questo libro nasce a seguito delle mie ricerche sulle donne rinchiuse nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale,” racconta Cegna. Durante queste ricerche, l’autrice si è imbattuta in una serie di documenti che offrono uno spaccato preciso della prostituzione nel periodo fascista.
Donne pubbliche contiene anche delle lettere scritte dalle prostitute
Una delle più toccanti è firmata da Renata M., che scrive al governo dell’epoca: “Da cinque anni conduco la vita nelle case di tolleranza per provvedere al pane dei miei fratellini poiché il loro padre, mio patrigno, non ha mai avuto alcuna voglia di lavorare…”. La lettera di Renata continua descrivendo le difficili condizioni in cui viveva, sottolineando lo sfruttamento da parte delle padrone delle case di tolleranza.
Cegna sottolinea come queste parole offrano uno spaccato preciso di quanto accadeva in quelle case, dove le ragazze-prostituite erano vittime di una schiavitù legalizzata. “Schiave del sesso che purtroppo abbiamo anche oggi,” aggiunge la docente, riferendosi alle giovani donne vittime della tratta di esseri umani che raggiungono l’Occidente con il miraggio di un lavoro, trovandosi invece costrette a prostituirsi.
Cegna distingue tra chi sceglie liberamente di prostituirsi e chi è costretto. “Se una donna sceglie come professione il sex work, senza alcuna costrizione, ritengo che sia una scelta rispettabile,” conclude l’autrice.
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