Sguardi persi di Donatella de Filippo
Caro iCrewer è venuto il momento di Donatella de Filippo e Sguardi persi uno dei racconti presente nella raccolta Quando il fine non giustifica i mezzi. In questi giorni, in cui ognuno sta reinventando la propria quotidianità, una storia che profuma di verità e speranza
Questo racconto leggetelo nel silenzio di queste lunghe giornate e pensate a cosa farete quando tutto tornerà “normale”. Non indugio oltre, ti auguro buona lettura!
>>>PRIMA PARTE<<<
Mi piace rimanere sotto le coperte quando fuori fa freddo. Il tepore, il silenzio della mattina presto, il profumo del caffè, si sente da qui. Mi giro e mi rigiro, ho voglia di dormire. Nella mente ricordi confusi, ma ho la sensazione di aver sognato qualcosa di bello, tanto poi non ricordo nulla e allora che sogno a fare.
Dicono che comunque sognare fa bene, dicono che, inconsciamente, sei quella che vorresti essere o fare. Tutte balle. Io so cosa mi piacerebbe adesso, rimarrei nascosta volentieri sotto le coperte. In questo periodo poi a scuola non si respira una bella aria. Nulla di che, ma è diventato tutto più complicato da quando è arrivata Miriam. Non ci voglio pensare, altrimenti mi torna il mal di testa. Metto la testa sotto il cuscino, altri cinque minuti.
“Valeria, alzati è tardi!” E’ mia madre. Ormai è un classico, lo dice tutte le mattine, anche se è domenica, ormai è diventato un modo di dire e io faccio finta di nulla.
“Valeria alzati!!!” Ripete.
“Eccomi, eccomi! Non gridare, non sono sorda! Ora mi alzo. Un minuto, un minuto solo.”
“Sbrigati! Alzati e non farmelo ripetere due volte. Fai colazione e scappa, altrimenti farai tardi anche oggi…”
Guardo la sveglia. Accidenti è tardi. Ha maledettamente ragione, devo fare in fretta se voglio prendere l’autobus delle 7,30 che passa dal Castello, quello che si ferma vicino Porta Napoli che mi lascia dietro la scuola, è comodo e mi posso fumare una sigaretta in pace, senza il Grande Fratello che va annusando dappertutto anche nei cassetti, per sentire se ho nascosto le sigarette tra le gonne.
Faccio un altro tiro ed entro. Come al solito Saverio, il bidello seduto all’ingresso mi fa cenno, con la mano tra i denti, di sbrigarmi
“Mai che arrivi in orario tu, eh? Vai, vai, sbrigati, la campanella è suonata da un pezzo, sti ragazzi…”
Abbasso gli occhi e sorrido. Sì, lo so, sono una ritardataria incallita, ma è così, non ci posso fare niente, arrivo sempre all’ultimo minuto e trafelata, il problema è che mi sento bene, mi sento fuori dal tempo degli altri, è come se in ogni caso decidessi io della mia vita, è complicato da spiegare ma è così.
Apro piano la porta della classe, per non far troppo rumore, ma eccoli lì tutti a guardarmi come fosse entrato un fantasma. Che fastidio! Come se a loro non fosse mai accaduto. E’ un film che si ripete tutte le sante mattine. Davanti le belle faccine, tutte contrite e interessate ma poi, appena escono, si sentono chissà chi.
Entro, richiudo la porta, sento lo sguardo della Belvisi, la professoressa d’italiano, che mi segue come un’aquila fa con il topo, con la bava alla bocca, prima di azzannarlo.
“Signorina Dionisi, mi raccomando, con calma, non si disturbi… qui aspettavamo tutti lei sa? Si sbrighi, vada a sedersi, la prossima volta la mando in presidenza e poi vediamo che succede.”
“Mi scusi, l’autobus ha fatto tardi e…” di solito gli occhi da pesce lesso mi riescono bene.
“Vada Dionisi, vada”, mi risponde il falco, “non mi faccia arrabbiare e non insulti la mia intelligenza, piuttosto oggi hanno dovuto togliere dei banchi rotti, tra cui il suo, quindi, lei prenderà il posto vicina a Miriam, al primo banco.”
Mi fermo e la guardo.
“Perché?”
“Perché ho deciso così. Problemi Dionisi?”
“Si. No, spero di no…” rispondo confusa.
Vicino a Miriam? E perché? Perché proprio io! Ma non se ne parla proprio, penso tra me. E perchè non Loredana? La bionda platinata sceglie sempre il primo banco per farsi bella con i professori, guarda caso oggi è finita in terza fila. Chissà Perché!! E Marco? Io lo chiamo l’intellettuale del Kimba. Ogni volta se ne esce con le perle di saggezza che mi fanno venire la permanente ai capelli. Non lo sopporto. Anche lui è scappato vicino la finestra, sempre in prima fila ma lontano da Miriam. Non parliamo di Giulio. Alto, secco e parla sempre a sproposito, è meglio tenerlo lontano, il rischio di discutere con lui è che ti ricoverino alla Neuro in un secondo.
Rimango in piedi. Mi sento divisa in due. Una parte di me vuole scappare, come gli altri, l’altra…
“Signorina Dionisi, allora? che fa? rimane tutta l’ora in piedi? Si sbrighi e si segga così finalmente cominciamo a parlare di Dante! A lei piace Dante vero?”
Accenno un sorriso. Intanto telecomandata, mi seggo accanto a Miriam e la guardo… Miriam. Miriam… e poi? Non ricordo neanche il cognome.
Di lei non so granchè. Probabilmente non mi sono sforzata molto di capire che vita potesse fare un’autistica. Almeno così hanno detto i professori quando l’hanno presentata alla classe. E’ incredibile come la vita degli altri ci scivoli accanto e ora, vuoi o non vuoi, mi tocca passare cinque ore di lezione insieme a lei e chissà per quanto tempo. Capitano tutte a me!
Intendiamoci, non sono una strasocievole, ma almeno quattro parole con i cretini che avevo accanto andavano pure bene e ora devo stare vicina a una che non ti guarda e non ti parla. Veramente, nessuno di noi si è mai voluto avvicinare, come se la sua chiusura al mondo fosse, in qualche modo, una liberazione per noi e per tutti.
Lei chiusa tra le sue cose e noi liberi di non volerci entrare. La guardo ancora. Ho la sensazione che mi stia leggendo nel cervello. Giro lo sguardo da un’altra parte, mi sento a disagio e ho la sensazione che lei abbia capito, poi mi dico che non è possibile. Miriam vive nel mondo suo, ma non riesco a distogliere lo sguardo.
Anche lei mi osserva, o almeno penso che mi stia guardando. Il suo è quasi sempre uno sguardo perso e io non riesco a capire. Mi sposto con la sedia, prendo i libri e li metto sul banco. Improvvisamente, la sua mano prende la mia con forza, me la stringe, sento un dolore fortissimo,
“Che fai?” grido, cercando di ritirare la mano.
“Mi fai male!! Ma che sei matta!”
Lei continua a guardarmi, questa volta però sorride, come se il fatto di avermi fatto male non l’avesse turbata, si avvicina, mi prende ancora una volta la mano, ma con dolcezza e mi aiuta piano ad aprire il libro. Mi fissa con quegli occhi scuri e io rimango ferma, la lascio fare. Che strano, non pensavo avesse degli occhi così belli… Mi sorride ancora, poi si gira e ritorna a fissare la lavagna. Sembra assorta, stordita, ma lei fa così, guarda un punto fisso della parete e non lo lascia più, non so perché, io davvero non lo so e non lo voglio sapere, ecco.
“Signorina Dionisi, la vuole smettere di fare chiasso? Piuttosto, cerchi di aiutare Miriam a socializzare, mi sembra che lei le piaccia molto.”
A me no però. Tengo la risposta per me.
Insomma, non è che non mi piace, è che non la conosco. Tutte le cose che non si conoscono, in fondo, mettono paura, no?
Ho cominciato a contare le ore, non riesco a concentrarmi, sarà che mi sento osservata. Miriam fa cose strane, ripete i movimenti, sempre gli stessi: si muove e poi guarda fuori dalla finestra. Mentre rifletto suona la campanella, scatto in piedi. Voglio andarmene di corsa, che giornata di m… mi giro, Miriam non c’è. Me l’aspettavo.
Quando arrivo è già seduta e quando suona la campanella sono già venuti a prenderla, ma nessuno di noi si accorge di nulla. O forse non c’interessa. Di solito viene a prenderla una signora dalla faccia buona, gli occhi stanchi velati da una impercettibile malinconia, eppure quando prende Miriam per mano le sorride come se fosse la cosa più bella del mondo. Se ci penso, mi piace quello sguardo, è pieno di tante cose, come quello di Miriam.
Anche la signora Vanni, la mamma di Miriam, mi guarda, Lo fa tutte le volte. Anzi lo faceva anche prima di spostarmi vicino a lei. Mi chiedo perché: sarà un vizio di famiglia?
“Che fai oggi? Vieni all’allenamento?” La voce di Loredana mi distrae dai pensieri.
“Non lo so. Forse. Devo farmi interrogare in filosofia altrimenti quest’anno non passo, magari ti chiamo nel pomeriggio e ti dico, ok? E ora scusami, devo andare, mia madre mi sta aspettando.”
“Ei, come siamo nervosi in questo periodo… ti sei mangiata una tarantola?”
“Dai, smettila, lo sai perché sono nervosa. Belli amici che siete, davvero, grandi amici anzi grandi stronzi, tutti! Mi avete lasciata sola, altro che… e ora scusami ma mia madre sta sclerando.”
Prendo i libri e mi catapulto fuori dal portone. Mi guardo intorno, E’ andata via Miriam e m’infilo in macchina.
“Allora, com’e andata oggi?” mia madre come al solito, sempre molto Sherlock Holmes.
“Bene!”
“Bene? Non mi sembra.”
“Ho detto bene, mamma dai che ti devo dire, bene!”
“Tesoro, è che, quando mi dici bene vuol dire che non è andato bene, tutto qui.”
“E’ arrivata la psicologa!”
“Ma che dici. Ho solo detto che sei entrata in macchina nervosa e con uno sguardo quasi perso, come se pensassi a qualcosa, sono tua madre, certe cose le riconosco”
“Mamma ti prego, ho detto bene! Quante volte te lo devo ripetere!?”
“Va bene! Va bene! Però te lo devo dire, con te non si può più parlare.”
“Ecco brava l’hai capito! Non ho voglia di parlare!”
Salgo le scale di casa correndo, non ho voglia di discutere, voglio chiudermi in camera, stendermi sul letto e non pensare a nulla. Come se fosse facile, in questa casa, avere un momento di privacy totale.
“Valeria apparecchia tavola, sbrigati”
“Non ho fame… devo fare i compiti, ho allenamento e non posso mancare!”
“Come al solito.”
E’ vero, non ho voglia di mangiare, veramente non ho voglia di fare nulla. Soprattutto non ho voglia di discutere con mia madre, sarebbe una battaglia persa in partenza. Prendo le cuffie e mi stendo a letto, chissà dov’è Adriano, l’ultima volta che ci siamo visti mi ha detto che mi vuole bene, ma io non me ne faccio nulla del suo bene, si vuole bene, all’amico al fratello, al cane, io non sono nessuna di queste cose, ma non riesco a farglielo capire.
“Vale, il cellulare sta suonando da due ore, rispondi prima che te lo butti dalla finestra!?”
Guardo il display, sconosciuto, chi può essere, sono tentata di spegnere ma rispondo.
“Pronto, Valeria? Sei tu?”
“Sì… pronto, sono io.”
“Sono la mamma di Miriam, ti disturbo?”
“No no, nessun disturbo, mi dica…”
“Volevo solo ringraziarti.”
“Ringraziarmi? E per cosa scusi…”
“Per quello che fai per Miriam in questi giorni. So che non deve essere facile, e per questi ti ringrazio.”
“Signora, ma io non ho fatto nulla, forse le hanno riferito male…”
“Non è vero, hai fatto tanto per lei, le sei stata comunque vicina e questa è già una grande cosa, Miriam ti ringrazia per questo. Sai, lei mi parla sempre di te. Tu le piaci molto. Dice che anche se fai la dura, hai un cuore d’oro.”
“Non so che dire, non credo di avere fatto nulla di straordinario, comunque dica a Miriam che ci vediamo domattina a scuola, ok?”
“Si certo, lei non vede l’ora. Piuttosto se ti va, qualche volta, potresti venire qui da noi, magari per una cioccolata. Senza impegno, certo.”
“Non so. Sì, forse… veramente dovrei studiare, magari tra qualche giorno, comunque, grazie”.
“Grazie a te cara, grazie a te…”
Spengo il cellulare e rimango ferma, immobile in mezzo alla stanza con il telefono in mano. Non avevo mai ricevuto tanti ringraziamenti in un solo momento. Mi sono sentita bene. Allora è proprio vero che un gesto cambia la vita degli altri ma anche la tua.
Comunque è incredibile! La mamma di Miriam che mi chiama, chi le avrà dato il numero.
“Chi era al telefono?” chiede mia madre, entrando.
“Nessuno!”
“Già, ora si chiama nessuno.
“Mamma!”
“Loredana, mi ha chiesto se la passo a prendere per andare all’allenamento.”
“Vedi di non fare tardi anche stasera, come al tuo solito. Chi lo sente tuo padre…”
“Tranquilla, mamy! Ora vado, è tardi.”
Prendo la borsa della palestra, è vuota, ma va bene così. Voglio solo uscire e soprattutto non voglio dare troppe spiegazioni a mia madre. Scendo le scale correndo, in strada mi arriva il messaggio di Loredana
“Allora che fai, vieni all’allenamento?”
Non ho voglia di rispondere, continuo a camminare. Senza rendermene conto arrivo a piazza S. Oronzo, mi piace Lecce quando fa freddo, le strade sono quasi deserte e io respiro la mia città, come voglio. Non so chi, ma ho sentito qualcuno dire in classe che Miriam abita da queste parti.
Comincio a guardare le targhette dei palazzi di via Palmieri, sono antichi, bellissimi, come tutti quelli del centro storico.
L’ho trovato! Il portone è nascosto da una pianta di ficus ma la casa è questa o almeno così sta scritto sulla targhetta. Timidamente, suono il campanello, non so se ho fatto bene, forse non dovevo venire. Si ho sbagliato. Ma cosa sto facendo? Mi giro per andare via, mentre sento il portone che si apre. E’ Miriam!
“Valeria, bello, tu qui.”
“Ciao Miriam, scusa l’orario, forse non dovevo venire, anzi sicuramente non sarei dovuta venire, poi mi sono detta che se forse venivo e salivo cinque minuti, magari ti avrebbe fatto piacere e…”
Non finisco la parola che Miriam mi ha già preso la mano e mi trascina dentro casa gridando e con sorriso a trentadue denti.
“Mamma, Valeria, Bello! Mamma Valeria venuta a trovare Miriam.”
Ho i battiti accelerati, e ora che faccio? Me ne vado. Sì, forse è meglio, sì, apro la porta e scappo, tutto questo non è per me! Ho sbagliato. Come sempre.
“Valeria, che piacere, come sono felice che tu sia venuta. Ero convinta che non avresti mai accettato, ma ora sei qui e Miriam è tanto felice…”
“Sì, vedo,” rispondo imbarazzata.
Ancora con la mano di Miriam agganciata alla mia mi ritrovo nella sua camera, mi fa segno di sedermi sul letto accanto a lei, con l’altra mano mi indica i disegni sui muri, le foto di animali, le foto della scuola, i pupazzi, e poi si alza e mi fa segno di guardare un disegno accanto al suo letto.
“Io e Valeria” mi dice indicando il disegno, guardo meglio. Io e lei, due ragazze con i capelli lunghi, sedute, per mano, un sole, una finestra dentro un cuore grande e rosso. Non so cosa mi sia passato realmente in quel momento nel cervello ma sapevo che Miriam mi aveva fatto entrare nel suo mondo, nei suoi silenzi senza fine e mi sono sentita bene.
>>>FINE PRIMA PARTE<<<
A domani caro iCrewer