Czeslaw Milosz Premio Nobel per la letteratura 1980
Caro iCrewer, per la rubrica Autori in tasca oggi vorrei parlarti di un poeta e saggista polacco, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1980
Czesław Miłosz è nato il 30 giugno 1911 a Šeteniai nell’attuale Lituania
figlio dell’ingegnere civile Aleksander Miłosz, e di Weronica, vanta una discendenza da parte di un prozio, del grande poeta lituano Oscar Vadislas de Lubicz Milosz.
Czesław Miłosz ha frequentato le scuole superiori e l’università a Vilnius, nell’attuale Lituania, un tempo territorio polacco. Cofondò il gruppo letterario Zagary e nel 1930, a soli 19 anni, pubblicò la sua prima opera poetica raccolta in due volumi.
Lavorò per la radio polacca e durante la guerra, si trasferì a Varsavia dove scrisse per la stampa clandestina e seguì attentamente quanto accadeva in Polonia, stretta tra la morsa della Germania e l’Unione Sovietica.
Dopo la guerra, si trasferì a Washington dove divenne addetto culturale all’ambasciata polacca, e nel 1951, si trasferì a Parigi ricoprendo lo stesso incarico.
Appassionato di politica fu molto critico manifestando i profondi dubbi che nutriva verso il socialismo reale e del clima culturale imposto dalla classe politica e intellettuale formatasi nella capitale russa. A seguito della rottura con il partito comunista, chiese asilo politico in Francia, trasferendosi poi nuovamente negli Stati Uniti.
Fu qui, che grazie al contatto con il clima culturale californiano di Barkeley, dove si era trasferito per insegnare letteratura polacca, continuò la propria opera poetica, dedicandosi contemporaneamente all’attività di traduzione, che fu essenziale per la diffusione della poesia polacca sia in America che in Europa.
Tu forte notte
Tu forte notte. Non giunge al tuo volto
vampa di labbra o di nuvole l’ombra.
Nei bui gironi del sonno t’ascolto
e risplendi come aurora che sorga.Sei la notte. Giacendo nel tuo letto
seppi la sorte e il male futuro.
Scansato dal volgo, la fama a lato
e la musica come vetro schiacciato.Forti i nemici e angusta la terra
e tu, o amata, fedele a lei rimani.
Ramoscello di sambuco sull’acqua,
spinto dal vento da ignoti pantani.Saggezza immensa, bontà non di donna
nelle tue fragili mani, o Mortale.
In fronte il chiarore del sapere:
plenilunio nascosto, non sbocciato.
Nel 1980, anno di conferimento del Premio Nobel per la letteratura a Czeslaw Milosz, alcuni operai del sindacato dei lavoratori Soliderietà, Solidarność, trascrissero brani di una sua poesia, che misero ai piedi del monumento dedicato ai lavoratori uccisi dalla polizia durante gli scioperi di contestazione a Danzica, città polacca, situata nel nord del paese, sulla costa meridionale del Mar Baltico .
Nel 1993 ricevette il Premio Grinzane Cavour, premio letterario fondato nel 1982, ha assegnato premi fino al 2009, quando uno scandalo ha colpito l’omonima associazione a causa di illeciti del proprio presidente.
Nel Maggio 1994 gli venne riconosciuto il titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Aquila Bianca, il più alto riconoscimento polacco, assegnato per meriti sia civili che militari.
Czesław Miłosz morì a Cracovia nell’agosto del 2004, dove è sepolto nella chiesa di San Michele e San Stanislao, insieme ad altri famosi scrittori e artisti polacchi.
Le opere di Czesław Miłosz
Czesław Miłosz non fu solo poeta, in ambito saggistico prese parte al dibattito riguardante la possibilità di vedere il lavoro culturale come azione politica e sociale, dando una versione originale, ai temi intellettuali francesi dei primi anni cinquanta a cui si ispirava.
Ne La mente prigioniera, pubblicato nel 1953, unì tecniche romanzesche alla riflessione saggistica, affrontando il complicato rapporto tra letteratura e società all’interno di democrazie popolari sottomesse alla Russia.
“Questo libro fu scritto a Parigi nel 1951-1952, cioè in un periodo in cui gli intellettuali francesi, nella loro maggioranza, risentivano la dipendenza del loro Paese dall’aiuto americano e riponevano le loro speranze in un mondo nuovo all’Est, governato da un leader di incomparabile saggezza e virtù – Stalin”.
Così Czeslaw Miłosz, con delicato sarcasmo, ha descritto, nella premessa all’edizione italiana, la situazione in cui nacque e apparve per la prima volta La mente prigioniera (1953).
Ma al lettore spetta di riconoscere che cosa è questo libro oggi: il libro che una volta per tutte, prima che il dissenso russo potesse manifestarsi, prima di Solženicyn, di Sinjavskij, di Zinov’ev, disse ciò che di essenziale vi è da dire sul sovietismo – e in particolare su quel colossale fenomeno di viltà dello spirito e cronico asservimento che ha contrassegnato il rapporto di milioni di intellettuali con il sovietismo stesso.
A differenza di tanti dissidenti russi, Czeslaw Miłosz parla con una terribile pacatezza: troppo cupa è la vicenda che ha vissuto perché la sua voce possa alterarsi.
Ed è la voce, lo si sente a ogni pagina, di un grande scrittore, di un abitante di quella vecchia, civilissima Europa dei popoli baltici, che furono calpestati dall’elefante della Storia senza che l’Occidente quasi se ne accorgesse.
Questo libro non è un saggio, non è un racconto, non è un libro di memorie: è la dimostrazione inconfutabile, trasparente, di che cosa voglia dire nella vita di ogni giorno, per un numero sterminato di persone, l’obbedienza al Metodo, nome che qui designa il marxismo-leninismo, quella singolare dottrina che è in grado di trasmettere per via organica una visione del mondo, come le pillole di Murti-Bing immaginate dal genio visionario di Witkiewics.
Se fosse una qualsiasi posizione filosofica, tale dottrina sarebbe di una pochezza difficilmente uguagliabile.
Ma esso è ben di più: un grandioso artificio che riesce davvero a cambiare la vita: il Metodo, una volta che stringe un mondo con le tenaglie della dialettica, permette a chiunque di sorridere con superiore indulgenza di fronte a qualsiasi pensiero, invita dolcemente a sorvegliare e denunciare gli altri, insegna inebrianti misture di vero e di falso, concede la gioia di sentirsi al centro della corrente della storia e offre strumenti maneggevoli per far fuori i propri nemici.
Alle devastazioni che il Metodo provoca nei singoli, alle prodigiose trasformazioni che esso produce nelle loro vite è dedicata la seconda parte del libro di Czeslaw Miłosz:
qui egli traccia una sequenza di profili esemplari, carichi di intensità romanzesca – e costringe ogni lettore a percepire che cosa sia stata, in tutti i suoi passaggi, la sorte crudele di chi ha visto susseguirsi, sulla propria terra, il furioso orrore dei nazisti e la vischiosa oppressione dei sovietici.
La rivolta di Varsavia, con i nazisti che uccidono e i sovietici che osservano compiaciuti dall’altra sponda della Vistola, è in certo modo l’esperienza simbolica di tutto il nostro secolo.
Miłosz, che a essa è dolorosamente sopravvissuto, ha saputo trasmetterla in queste pagine a noi, eternamente sprovveduti occidentali, lasciando parlare i fatti e le fisionomie, come solo un poeta può fare.
L’opera di Czeslaw Milosz fu fin dalla sua uscita, fonte di dure polemiche. Il saggio-romanzo diede una singolare visione, molto critica, della libertà umana, fornendo una nuova chiave di lettura di tutte le opere dell’autore.