Forse il titolo che ho messo a questo articolo trae un po’ in inganno perché protagonista del pezzo non è la famosa canzone di Vasco Rossi, bensì il libro Compagno di sbronze di Charles Bukowski, che durante il weekend mi è tornato tra le mani facendomi ripensare a queste righe che avevo scritto sul mio profilo social anni fa, quando l’avevo letto, e che ora, in virtù delle vacanze d’agosto, condivido anche qui, con te, caro iCrewer, mescolandole agli anni che passano, con l’intento di proporti una breve lettura da fare sotto l’ombrellone.
In realtà, pensando bene alla canzone inno e simbolo di diverse generazioni scritta dal rocker di Zocca, si possono anche trovare molte similitudini, almeno nelle aspettative della vita che verrà, con le vite raccontate dallo scrittore in questa raccolta di racconti.
COMPAGNO DI SBRONZE: BUKOWSKI
Quelle narrate da Bukowski in Compagno di sbronze sono tutte vite borderline, che spesso, addirittura, hanno una matrice autobiografica. Si tratta di personaggi molto particolari, storie di vagabondi alle prese con donne abbordate per il solo fine del piacere sessuale, storie di esagerazioni alcoliche finite spesso male, storie di vite spese in lavori ripudiati e soldi spesi in bettole da quattro soldi dietro a gonne rovinate dal vizio. Storie di scrittori lacerati dalla noia e dalla droga alla ricerca di fama e storie di gente comune vinta da una vita anonima.
Un libro in cui si parla senza filtro di masturbazione, amplessi, servizietti orali, stati di eccesso raggiunti non convenzionalmente e sensualità femminile sparsa ovunque nelle pagine. Tematiche queste che pur essendo molto crude e molto al confine tra il digeribile e il non digeribile, aiutano senza dubbio ad alimentare l’alone di interesse e curiosità verso il libro e verso l’autore stesso.
Del resto chi non è attirato dal vizio? A chi non piacerebbe una vita bohemien da vivere tra poesia, lusso e belle donne?
È proprio questo il punto.
Pur ritenendo Compagno di sbronze un po’ lento e un po’ troppo ardito, sia per i fatti raccontati (uno in particolare ha urtato con violenza la mia tollerabilità) che per la poca scorrevolezza narrativa – ma preciso che è solo un mio gusto personale perché mai e poi mai mi metterei a far le pulci ad uno scrittore di questo calibro – resto ogni volta affascinato da questo tipo di storie.
Se penso a Bukowski non come a un uomo che ha vissuto agli eccessi, ma come a un scrittore che ha avuto il piacere di conversare con Kerouac ed i vari autori della beat generation, provo una profonda invidia. Mi piace immaginare quei salotti di divani in pelle consumata in cui tra un alcolico e l’altro si trovava la soluzione della vita e la si metteva per iscritto, o almeno ci si provava.
La famosa vita spericolata, la vita che non è mai tardi, la vita che ancora io a quaranta e passa anni guardo sì con desiderio, ma, anche con un pizzico di coscienza che mi permette di inebriarmi soltanto delle emozioni dell’arte senza andare mai in overdose di eccessi.
La vita che sogniamo sempre di far bruciare fino all’ultima scintilla, ma che con il passare degli anni adattiamo e moduliamo a quelle che sono le nostre reali esigenze: se a vent’anni siamo un grande fascio di luce che punta dritto al cielo, a trenta uno splendido spettacolo pirotecnico, a quaranta ci accontenteremo di essere un lampione, di quelli che non si spengono mai…
Con il punto fermo che hanno tutti, il famoso roxy bar, che per ognuno di noi ha un nome diverso. Il bar in cui tutti togliamo i piedi dalla nostra vita composta e sogniamo di corse di cavalli, partite di pallone, gambe vertiginose e avventure estemporanee, tra una stretta di mano ed un bicchiere con gli amici .
Poi ci svegliamo e non ci resta che leggere.
Leggere ed emozionarci, anche con testi così audaci, ma tremendamente veritieri, come Compagno di sbronze, anche quando il libro ti ricapita in mano dopo tanto tempo, in una domenica pomeriggio di inizio agosto, quando la vita ha preso una sua strada e di Bukowski non restano che le poesie.
E le riflessioni che la sua lettura scaturisce.