Le opere messe a confronto nell’appuntamento di oggi di libri e cinema rientrano nell’ambito della letteratura giapponese. Si tratta, infatti, del romanzo Colorful di Eto Mori, pubblicato in Italia da DeAgostini, e del film d’animazione che ne è stato tratto nel 2010. Derivanti dalla stessa opera ci sono anche un manga e un live action, ma io ho preferito concentrare la mia attenzione sull’anime.
Parlando un po’ di trama, cercando di fare meno spoiler possibile, si può dire che quello di Eto Mori sia un romanzo che parla di seconde possibilità, di provare a guardare la vita con occhi diversi, nella speranza di notare particolari che prima erano sfuggiti. Ed è proprio questo che fa l’anima protagonista della storia.
Raccattata dall’angelo Purapura mentre sta cadendo in un oscuro burrone, all’anima viene comunicato di aver vinto una seconda possibilità, di poter tornare in vita, nel corpo di un altro, per cercare di redimere gli errori della sua vita passata e rientrare così nel ciclo delle rinascite – poco importa che l’anima in questione non abbia nessuna voglia di tornare in vita.
Tuttavia, non avendo voce in capitolo, in breve si ritrova dentro il corpo di Makoto Kobayashi, un ragazzino di quattordici anni che si è suicidato. Per molto tempo l’anima non capisce perché dovrebbe cercare di continuare la vita di Makoto, come potrebbe fare a stringere un legame con la sua famiglia, con persone che amano Makoto ma che l’anima non conosce.
Ci vuole del tempo, e qualche scivolone, perché la rotta inizi a cambiare e il domani non si a più solo un peso inevitabile.
Colorful di Eto Mori: le differenze tra libro e film
Credo che Colorful rappresenti, forse, uno dei pochissimi casi in cui mi sono piaciuti sia libro che film (c’è da dire, però, che con i film di animazione almeno si è sicuri che gli effetti fantastici e magici avverranno senza problemi). Tuttavia, non ho potuto fare a meno di notare alcune differenze tra i due, vuoi per questioni di tempo, vuoi per decisioni stilistiche.
La prima è sicuramente l’inizio dell’anime. Per quanto sia stato interessante il punto di vista, che coincideva con quello dell’anima, invece di essere un terzo esterno ai fatti, mi è spiaciuto che non sia stato più simile a quello del romanzo, che è abbastanza singolare. La stazione dei treni in cui le anime sostano prima di andare oltre, invece, è un’immagine già nota.
Anche Purapura mi ha lasciato un po’ perplessa. Forse era semplicemente la mia immaginazione, ma lo credevo più adulto, sagace, non tanto un bambino un po’ saccente, come compare in buona parte del libro. E poi non aveva “l’accappatoio bianco” che l’anima nota subito nel libro, particolare che ho trovato esilarante.
Ho molto apprezzato la colonna sonora del film e lo stile delle animazioni, anche se ammetto che qualche volta avrei preferito che le sfumature fossero più accese, per richiamare il colorful del titolo. In generale, però, si è trattato di una visione piacevole. Le mie parti preferite sono, probabilmente, quelle in cui Makoto è così immerso nella pittura da entrare, con la mente, all’interno dei propri quadri.
La più grande differenza l’ho riscontrata nei rapporti umani. Dove nell’anime è stato dato molto più spazio ai coetanei di Makoto, allo svilupparsi delle loro relazioni, nel libro un ruolo altrettanto importante è occupato dalla famiglia. Certo, temi importanti sono messi in luce in ogni caso, come l’attenzione a non idealizzare le persone, perché tutti sono umani, o il cercare aiuto, quando sembra tutto nero, non sono convita di questa scelta.
Mentre in Colorful di Eto Mori ogni membro della famiglia è in parte responsabile del crollo di Makoto, e tutti questi problemi e discussioni vengono affrontati a viso aperto, non solo contestualizzandoli, ma trovando anche molto spesso una soluzione o, quanto meno, una spiegazione, nel film ciò non accade. Si porta alla luce solo la colpa della madre – che, per quanto grave, è solo parte dell’insieme – lasciando il padre in una luce completamente positiva, e il fratello minore in una sorta di limbo.
In più, manca un aspetto secondo me essenziale, quello del confronto. Nel romanzo, la madre si assume le proprie responsabilità, cerca di spiegare a Makoto come sia arrivata a compiere quei gesti, e gli chiede perdono. Nella trasposizione, però, ciò non avviene: si passa dall’ira del ragazzo, a una sorta di rassegnazione che porta il giovane a continuare a ignorare la madre. Non c’è una svolta, non si comunica il fatto che si può rimediare agli errori, anche quando a compierli è un genitore.
A parte questo, sia l’opera di Eto Mori, sia la trasposizione cinematografica Colorful meritano di essere viste e lette. Non si sa mai, magari le tribolazioni dell’anima possono aiutare anche noi a superare le nostre, o quanto meno, a vederle in una luce nuova.