Ma chi ha ucciso Pantani? Roberto Manzo amico del ciclista, svela i retroscena nel suo ultimo libro.
Tra pochi giorni è San Valentino, il giorno dedicato a chi si vuol bene, ma è anche una data che nel mondo sportivo, ed in particolare quello del ciclismo di alto livello, non viene ricordata con lo stesso sentimento. Ricordo all’epoca dei fatti e non senza una punta di amarezza, i titoli rimandati in sequenza costante, in radio e su tutti i media collegati, della morte improvvisa del ciclista Marco Pantani. Sono onesta, del ciclismo non ho mai avuto grandi competenze, ma il Giro d’ Italia con La maglia Rosa, il Tour de France, fanno parte della storia dello sport, e noi di campioni ne abbiamo avuti, eccome!
Per questo l’immagine di quel piccolo ciclista, in sella alla sua due ruote, veloce come pochi, non era una figura qualsiasi e la sua morte, in quel momento, sembrò quasi uno schiaffo ben assestato alla mediocrità e a chi dello sport certamente non aveva grande stima. L’ultimo atto di ribellione di un uomo che, a suo modo, aveva comunque dato tanto allo sport italiano, una dedizione che all’atto pratico, tuttavia, nessuno fu in grado di riconoscere. La notizia, vera o falso che sia, è la “notizia” e non importa se le parole usate possono compromettere o addirittura distruggere un uomo nella sua dignità, annullare anni e anni di fatiche o sacrifici enormi per raggiungere un piccolo risultato. E’ la prima pagina che conta!
Marco lo conoscevamo tutti, anche chi il ciclismo come me non lo ha mai masticato troppo, ma se a correre era il Il Pirata, beh era un altra cosa. Si era lì tutti davanti alla televisione, a guardare quell’uomo piccolo, apparentemente gracile ma con una forza nelle gambe da gridare al miracolo, scalare le montagne con la sua bici, la classica bandana sul capo e l’orecchino che non mancava mai. E chi se lo dimentica!
Non è retorica a buon mercato, ma ogni scalata o volata in difficoltà era comunque spunto per paragonarlo ai grandi del secolo. Anche qui i giornali dell’epoca e le penne più accreditate del giornalismo sportivo, quando alle vittorie del campione non si poteva controbattere, gridavano al miracolo dello sport italiano, gli stessi, che alla sua morte non si fecero scrupolo nell’addebitargli responsabilità e mancanza di etica sportiva.
Le vicende giudiziarie del ciclista sono ben note a tutti. Gli atti depositati, almeno quelli relativi alle analisi fatte dopo la gara del tour de France del ’99, hanno sempre parlato di tracce di sostanze dopanti di pochissimo al di sopra del consentito, per le quali si gridò subito allo scandalo sportivo, buttando nello sconforto il ciclista, allontanato subito dalla gara. Sospeso dall’attività federativa, Pantani fu costretto a ritirarsi senza potersi allenare, una condizione di estrema solitudine capace di trascinarlo in poco tempo alla depressione.
Durante tutta il periodo investigativo l’unico a difenderlo nel bene e nel male è il suo avvocato, l’amico di sempre che, anche dopo la sua morte, ha continuato a studiare le sue carte, a rileggere gli atti e a lottare insieme alla famiglia del campione, per ottenere realmente giustizia e portare alla luce la verità, quella vera, sulla tragica vicenda di una morte ancora da capire. Nel suo libro dedicato all’amico scomparso, Roberto Manzo, mette sul tavolo, a carte scoperte, le contraddizioni, i risvolti spesso confutabili, le ridicole accuse, nonostante le assoluzioni piene, ottenute con legittime sentenze dei tribunali. Una “via crucis processuale”, così come la chiama Manzo, tesa solo ad infangare senza appello la correttezza sportiva e la dignità di un uomo capace di scalare le montagne, ma assolutamente fragile nell’affrontare la cattiveria del mondo.
Chi ha ucciso Marco Pantani? questo il titolo del libro di Manzo (Mondadori) ed è un titolo emblematico, una chiara denuncia di responsabilità verso chi, in qualche modo, ha realmente voluto che il campione sparisse agonisticamente e moralmente. Marco Pantani, non è caduto vittima delle proprie insicurezza, ma di chi ne conosceva il valore. Si è voluto spezzare l’uomo e l’atleta nella sua interezza, spiega l’avvocato nel suo libro, e io non posso che condividere il suo pensiero. E’ arrivato il momento di restituire al Pirata la figura che gli spetta, quella del più forte, dell’atleta dal talento unico ma soprattutto l’onore e la sua dignità di uomo.
Inutile dirti che il libro è estremamente interessante, e vale la pena leggerlo per conoscere fino in fondo la figura di un uomo che nel bene e nel male è entrato nella storia sportiva e umana di ognuno di noi.
Buona Lettura e a Martedì prossimo!
Lei scrive: “Le vicende giudiziarie del ciclista sono ben note a tutti. Gli atti depositati, almeno quelli relativi alle analisi fatte dopo la gara del tour de France del ’99, hanno sempre parlato di tracce di sostanze dopanti di pochissimo al di sopra del consentito, per le quali si gridò subito allo scandalo sportivo, buttando nello sconforto il ciclista, allontanato subito dalla gara.”
Ma Pantani nel ’99 è stato cacciato dal Giro (d’Italia) solo per ematocrito alto e non per doping. In tutta questa vicenda, oltre ai possibili complotti dietro alla sua morte e alla espulsione dal giro (sembra verosimile che le analisi siano state truccate), la cosa che mi fa più rabbia è che sia passato alla storia per dopato, tanto da venire descritto così anche da chi lo difende. Al contrario, Marco Pantani non è mai stato trovato positivo al doping, cosa che a quei tempi era una rarità!