Per un lettore approcciarsi e conoscere Cesare Pavese significa entrare in un microcosmo, quello dell’autore, di tristezza, angoscia esistenziale e depressione; saprai bene che i suoi demoni di personale dolore vinsero sulla voglia di continuare a vedere cosa sarebbe successo in seguito nella sua esistenza: in altre e più crude parole Cesare Pavese morì suicida, dopo aver tentato diverse volte di togliersi la vita, mise a segno il suo progetto di morte, nell’Agosto del 1950…
Forse è per questo che ha intorno a sé un alone di tragico mistero che lo riveste di fascino e lo fa associare ai Poeti Maledetti. Per chi si approccia a leggerlo tutto ciò diventa un motivo in più per approfondirne la conoscenza. O almeno così è successo a me. Sarà stato il fascino dell’artista controverso o semplicemente la curiosità di una ragazzina dai gusti letterari un po’ strani ma ho amato questo autore fin dal primo libro che ho letto: La casa sulla collina.
Ho incontrato Cesare Pavese sui banchi di scuola, merito di un’insegnante che amava la letteratura del Novecento. E il suo fascino di ‘artista maledetto’, che te lo dico a fare, ha fatto centro. Del resto ad una certa età, quando ci si addentra nel mondo letterario è normale innamorarsi di quegli autori che si sentono più vicini alla propria interiorità… E io tra Bukowski e Pavese, beh, ti lascio immaginare come ero messa.
Altri tempi, altra età, forse altro sentire: di certo c’è che una volta conosciuto cominciai a leggere, se non tutti, buona parte dei suoi libri. E devo dire che mi capita di rileggerli di tanto in tanto e, come sempre succede per ciò che si ama, ogni volta trovo qualcosa di nuovo non notato prima.
Cesare Pavese intellettuale tormentato
Un intellettuale a tutto tondo, dai romanzi ai saggi, dalle traduzioni alla poesia, Cesare Pavese ha lasciato grandi impronte del suo genio nella letteratura italiana. Peccato che i critici con la K maiuscola lo abbiano apprezzato tardi e poco, rispetto ai suoi meriti. Vabbè sappiamo come vanno certe cose, a volte si diventa ‘grandi’ solo post-mortem. Oppure si è già grandi in vita senza averne piena consapevolezza.
Lascio da parte ogni altra disquisizione su Cesare Pavese, magari tornerò ad approfondirne le tematiche in un’altra rubrica di iCrewplay. I suoi romanzi, da Paesi tuoi pubblicato nel 1941 a Fuoco grande, del 1959, rimasto incompiuto e pubblicato dopo la morte, passando per La bella estate o La casa in collina o ancora Il compagno ecc, meritano un’attenzione particolare, più di quella che la critica gli ha dato così come i saggi o i vari articoli che Pavese scrisse da collaboratore con importanti riviste. Qui però parlo di poesia e oggi ti propongo un Cesare Pavese poeta che non ha nulla da invidiare al Cesare Pavese scrittore o saggista.
Tra agonia e colori
Girerò per le strade finché non sarò stanca morta/ saprò vivere sola e fissare negli occhi/ ogni volto che passa e restare la stessa./ Questo fresco che sale a cercarmi le vene/ è un risveglio che mai nel mattino ho provato/ così vero: soltanto, mi sento più forte/che il mio corpo, e un tremore più freddo/ accompagna il mattino.
Son lontani i mattini che avevo vent’anni./ E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,/ ne ricordo ogni sasso e le striscie di cielo./ Da domani la gente riprende a vedermi/ e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi/ e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,/ ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo/ di esser io che passavo-una donna, padrona/ di se stessa. La magra bambina che fui/ si è svegliata da un pianto durato per anni/ ora è come quel pianto non fosse mai stato/
E desidero solo colori. I colori non piangono,/ sono come un risveglio: domani i colori/ torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,/ ogni corpo un colore-perfino i bambini./ Questo corpo vestito di rosso leggero/ dopo tanto pallore riavrà la sua vita./ Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi/ e saprò d’esser io: gettando un’occhiata,/ mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,/ uscirò per le strade cercando i colori.
I versi di Cesare Pavese che hai appena letto hanno un titolo, Agonia, che è in antitesi con ciò che vogliono esprimere. Parlano di rinascita, parlano di speranza e di colori. Quei colori che non piangono, quelli che sono come un risveglio, quelli che la ragazza-protagonista cercherà uscendo per la strada.
Il contrasto del titolo con il contenuto dei versi crea un insolito ossimoro: il titolo dà l’idea di una tematica non propriamente speranzosa, diciamo così. E tutto sommato, conoscendo un minimo l’autore e i suoi tormenti sarebbe stato perfettamente in linea. Invece lo stupore sopraggiunge quando verso dopo verso, si delinea la speranza di vedere i colori, la caparbietà di non arrendersi nella ricerca di essi, per le strade del mondo.
Cesare Pavese metaforico
È ovvio e avrai capito che i colori cercati da Pavese per le strade sono una cura all’agonia, alla non vita, in altre parole rappresentano l’antidoto a quel male oscuro che caratterizzò la sua intera esistenza e che, alla fine, lo sconfisse. C’è nel testo di Agonia la quasi spasmodica volontà di riappropriarsi della propria vita e renderla viva, colorata. Il fermo intento a dare una svolta in positivo, a lasciare da parte ogni dolore e donarsi alla vita.
Perchè ho scelto questa poesia?
Se te lo stai chiedendo ti tolgo subito il dubbio e la curiosità. Mi ha sempre impressionato l’ossimoro fra titolo e contenuto: un’agonia piena di speranza, quasi come se un moribondo si attaccasse alla vita con tutte le forze che gli restano. Dalla primissima volta che mi sono trovata a leggere questo testo è come se vi leggessi tutta la “speranza disperata” di chi non si arrende malgrado le avversità.
Devo confessare che spesso ho sentito profondamente miei questi versi e credo che possa capitare a chiunque nel corso della vita, di ritrovarsi a cercare i colori nel grigio uniforme in cui ci si trova immersi. E mettici pure, come avrai notato, la stranezza dell’autore immedesimato nei panni di una ragazza ventenne, così giovane ma già così segnata dal dolore. In teoria a vent’anni si dovrebbe esplodere di vita da ogni poro. In teoria.
Inoltre la particolarità di Cesare Pavese, in Agonia come in tutte le altre poesie contenute nella raccolta Lavorare stanca pubblicata per la prima volta nel 1936, è quella di staccarsi dalle correnti poetiche del tempo e di creare una poesia discorsiva, in contrapposizione con l’Ermetismo che in quegli anni dettava le regole con versi scarni, asciutti e apparentemente incomprensibili. Un Pavese controcorrente che praticamente gioca da solo la sua partita con la poetica del tempo e con la vita stessa.
Agonia ha un testo comprensibile, facile ed immediato, dove è possibilissimo ritrovarsi. L’ho scelta oggi, per il nostro incontro poetico del venerdì perchè questo nostro tempo ha davvero bisogno di cercare e trovare colori per le strade: in un periodo di grande incertezza per il futuro e di grandi timori per le incognite irrisolte, vorrei che ognuno potesse sentire proprie le parole Ogni nuovo mattino,/ uscirò per le strade cercando i colori. A vent’anni come ad ottanta.