Catullo, la poesia e l’amore sono i temi di questa mia riflessione su uno dei più gradi poeti latini. Nacque a Verona da famiglia ricca e si trasferì a Roma non appena indossata la toga virile. Uomo prodigo e passionale, si innamorò di una donna sposata, Clodia, che divenne la sua musa e assunse, nei suoi versi, l’iconico e trasgressivo nome di Lesbia.
Catullo, la poesia, l’amore
Appartengono a Catullo alcuni tra i versi più famosi della poesia di tutti i tempi: il suo Liber, composto da centosedici canti in endecasillabi prevalentemente (ma non solo), contiene tutta la forza rivoluzionaria di un poeta che trasferisce il centro della propria vita dalla pubblica piazza, con le cose politiche e di pubblico dominio, alla sfera privata dei sentimenti e delle passioni.
Catullo è forse il poeta latino che io amo di più, pieno di contraddizioni, pieno di focosi abbandoni e ripensamenti. Esempio di folle infatuazione che diventa il centro ossessivo dei pensieri di un innamorato.
Il carme 85 delle sue poesie, è forse l’epigrafe più nota al mondo visto che riassume tutta la potenza di una passione forte come quella di Gaio Catullo per la sua Clodia/Lesbia.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
L’odio e l’adoro. Perché ciò faccia, se forse mi chiedi, io, nol so: ben so tutta pena che n’ho (Giovanni Pascoli)
La miriade di sfumature di sentimenti che colorano quel Odio e amo (che Pascoli traduce riferito a Lesbia ma a cui Catullo invece non attribuisce un termine preciso. Dice soltanto Odio e Amo, ci fa sentire quanto sia pervaso, colmo, straripante di questi sentimenti e di contrasti che stridono e lo tagliano ma al contempo lo fanno sentire vivo e reattivo e assetato d’amore.
Seguo con il carme 5, il trionfo della gioia amorosa:
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum,
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e i rimproveri dei vecchi severi
stimiamoli tutti un soldo.
Il sole può comparire e scomparire:
noi, una volta che la luce breve si abbassa,
dobbiamo dormire un’unica interminabile notte.
Dammi mille baci, poi altri cento,
poi altri mille, poi ancora cento,
poi senza fermarti altri mille, poi cento.
Infine, quando ne avremo dato a migliaia,
mescoleremo il conto, per non sapere,
o perché nessun malvagio possa invidiarci,
scoprendo l’esistenza di così tanti baci.
Immaginiamoci due amanti dopo un amplesso, felici, innamorati, appagati, guardiamoli mentre lasciano la domus dove hanno appena consumato e Clodia/Lesbia lascia il suo amato per tornare alla casa di suo marito, dove da brava domina svolgerà i suoi doveri di moglie. Dammi mille baci, dammene altri cento e stiamo ancora insieme, non andartene, mi mancherai, sembra dire Catullo alla sua donna.
La protagonista assoluta del suo liber e delle sue poesie è la sua donna. La proprietaria indiscussa del cuore del grande poeta che incanta da venti secoli con la poesia e l’amore.