Il giorno di Carnevale, tutti torniamo ad essere un po’ piccini. Anche se per un solo giorno, i bambini aspettano questa occasione per mascherarsi come il loro supereroe preferito, come principe o principessa, come poliziotto o carabiniere, pagliaccio e tante infinite possibilità che la fantasia ci mette a disposizione. Ma non solo i bambini, a volte anche gli adulti ne approfittano e si travestono, un po’ per ritornare bambini e un po’ per trascinare i più timidi nei festeggiamenti.
Carnevale, il significato etimologico
Il Carnevale è una festa mobile o stagione festiva cristiana cattolica che ricade prima della stagione liturgica della Quaresima e prevede tipicamente celebrazioni pubbliche, inclusi eventi come parate, feste di strada pubbliche e altri divertimenti, che combinano alcuni elementi del circo.
Esistono diverse ipotesi riguardanti l’origine del nome Carnevale. L’etimologia corrente risulta essere ancora il basso latino carne(m) levare, alludendo ai giorni che precedono la Quaresima, periodo di digiuno nelle religioni cristiane. Anche il sinonimo antico carnasciale avrebbe un’origine simile: carne(m) laxare, riferito al divieto di mangiare carne in Quaresima, subito dopo il Martedì grasso.
Come sottolinea il linguista Clemente Merlo nel suo saggio I nomi romanzi del Carnevale (1911, 1934), secondo questa spiegazione l’idea insita nel Carnevale non sarebbe tanto il godimento della festa, quanto la privazione, ossia il digiuno dalla carne richiesto dalla Quaresima.
Ma cosa a che fare questa privazione della carne con il mascherarsi?
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L’origine delle maschere
Il mascherarsi e il festeggiare è da rimandare ai saturnali romani. Durante questo periodo si era soliti sovvertire ogni tipo di gerarchia. Così si invertivano i ruoli imposti dalla società. Il povero per una volta poteva tramutarsi in ricco e viceversa e dunque chi lo voleva, poteva nascondere la sua vera identità con dei travestimenti anche scherzosi per dedicarsi ai piaceri del corpo e del cibo.
Si pensa che la tradizione occidentale di mascherarsi durante questa festa mobile del nostro calendario derivi dalle antiche festività greche delle Antesterie, dedicate al culto di Dioniso o romane dei Saturnalia. Durante queste celebrazioni vi era un temporaneo capovolgimento delle gerarchie e dei ruoli sociali. Per questo motivo servitori e padroni, mascherandosi e camuffando la propria identità, potevano momentaneamente abbandonare le prestabilite convenzioni sociali. In più anche i ruoli in cui erano severamente relegati, per indugiare in scherzi, danze, banchetti e l’ebrezza del vino. Tradizione che viene tramandata anche in epoca medievale.
E perché si preparano giganteschi carri?
Il linguista Mario Alinei ci invita a fare un passo indietro per capire un’altra possibile definizione etimologica di Carnevale. Il linguista fa riferimento al rito del Navigium Isidis. Le origini del nome Carnevale sarebbero da ricondurre al carrus navalis ossia il carro della dea Iside, portata in processione come patrona dei navigatori su un battello a ruote, tra le danze e i canti della popolazione. (Alinei M., “Carnevale”, dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris, in Quaderni di sematica).
Il culto isiaco si teneva nelle città marittime e fluviali il 5 marzo (navigium Isidis) quando si riapriva la navigazione. I rituali cominciavano all’alba: il carro, custodito durante l’inverno nel tempio, veniva trasportato in mare, o sul fiume, per festeggiare la dea e inaugurare la nuova stagione della navigazione.
A ben pensarci i più famosi Carnevali, con i loro “carri navali” allegorici, sono quelli che si festeggiano, o si festeggiavano, in città sul mare, come Viareggio, Venezia e Rio de Janeiro, o su grandi fiumi, come Colonia e Basilea sul Reno, e Roma sul Tevere. È Lucio Apuleio, ne Le Metamorfosi a regalare una dettagliatissima descrizione della festa del Navigium Isidis.
Ed ecco che lentamente cominciò a sfilare la solenne processione. La aprivano alcuni riccamente travestiti secondo il voto fatto: c’era uno vestito da soldato con tanto di cinturone, un altro da cacciatore in mantellina, sandali e spiedi, un terzo, mollemente ancheggiando, tutto in ghingheri, faceva la donna: stivaletti dorati, vestito di seta, parrucca. C’era chi, armato di tutto punto, schinieri, scudo, elmo, spada, sembrava uscito allora da una scuola di gladiatori; e non mancava chi s’era vestito da magistrato, con i fasci e la porpora e chi con mantello, bastone, sandali, scodella di legno e una barba da caprone, faceva il filosofo, due, poi, portavano delle canne di varia lunghezza, con vischio e ami, a raffigurare rispettivamente il cacciatore e il pescatore…