In queste gelide giornate, mentre si riducono sempre più i giorni che ci separano dal Natale, ho pensato di lasciarti un altro racconto natalizio.
Il protagonista sarà un delizioso orsetto che spero ti farà sciogliere il cuore!
Teddy, l’orsetto abbandonato
Era la mattina di Natale e un sottile strato di neve ricopriva le strade della città, trasformando ogni angolo in un magico scenario invernale. La casa di Luca era avvolta da un’atmosfera di eccitazione e anticipazione mentre il bambino scendeva di corsa le scale con occhi brillanti di aspettativa.
L’albero di Natale occupava gran parte del salone. Le sue luci scintillavano con bagliori violenti, illuminando l’intera stanza di flash multicolori. Il pavimento era ingombro di pacchi di tutte le dimensioni e forme: piccoli, grandi, tondi e squadrati. Ce n’erano a decine ed erano tutti per lui.
Luca si fermò un istante appena sulla rampa delle scale ad osservare quello spettacolo con gli stessi occhi di un pirata che ammira il suo tesoro. Si precipitò nel salone, col pigiama natalizio e i piedi scalzi. I genitori lo osservarono distrattamente da un divino mentre guardavano l’enorme schermo del televisore dinanzi a loro.
Con un sorriso Luca si gettò sul primo pacco. In un lampo fece a brandelli l’incarto e si ritrovò tra le mani un soffice e tenerissimo orsetto di peluche. Era di un bianco acceso che ricordava il colore del cielo quando sta per nevicare. Le orecchie grandissime ispiravano tenerezza e quegli occhietti scuri e penetranti sembravano promettere abbracci. Attorno al collo c’era una piccola collina con una targhetta ricamata su cui era inciso il nome “Teddy”.
La delusione si dipinse sul viso di Luca, i suoi occhi si sgonfiarono e il piccolo naso si aggrottò.
«Che schifo mamma!» protestò sventolando il peluche verso i genitori che lo degnarono appena di uno sguardo.
Luca lo osservò meglio. Tastò il corpo con forza in più punti cercando qualche pulsante da schiacciare ma le sue dita affondarono soltanto nella morbida pelliccia dell’orsacchiotto.
«Ma non fa niente! Non parla, non si muove! Non ha nemmeno qualche arma nascosta!» Luca girò e rivoltò l’orsetto con malagrazia.
«Mettilo via se non ti piace» disse il papà con un gesto annoiato della mano.
Luca guardò per un’ultima volta l’orsetto, corse verso la porta d’ingresso, la spalancò e vi gettò fuori il tenero Teddy. Richiuse la porta con uno schianto sordo e tornò in fretta a scartare gli altri regali.
I genitori lo fissarono un istante più a lungo, un po’ sorpresi. Poi scoppiarono a ridere.
«Nostro figlio è proprio un monello!».
Fuori faceva freddo e il cielo era grigio e gonfio di neve. L’orsetto Teddy giaceva a testa in giù sulla neve grigia e molliccia accumulatosi sul marciapiede della strada.
«Che maleducato!» esclamò infuriato, mettendosi in piedi. Il manto prima bianchissimo era ora imbrattato di macchie scure di fango e neve sporca.
«Sicuramente a qualcun altro piacerò!» si disse risoluto, con le zampine di peluche che spingevano sui fianchi.
L’orsetto Teddy si avviò per le strade deserte, sfiorando la città con la sua piccola presenza. Si diresse subito verso la via principale, affollata di negozi di giocattoli. Lì, pensò, sicuramente avrebbe trovato qualche bambino interessato a lui.
Mentre passeggiava, però, la sua determinazione vacillò fino a crollare. Affacciati alle vetrine dei negozi stavano decine e decine di giocattoli in plastica, spigolosi e freddi con le loro armi appuntite che facevano su e giù emettendo fastidiosi e cupi rumori.
Robottini, astronavi in movimento, soldatini telecomandati si muovevano davanti a schermi evanescenti che proiettavano le immagini di qualche nuovissimo e costosissimo videogioco. I giocattoli si muovevano mossi da cavi elettrici o telecomandi alimentati a batteria.
L’orsetto Teddy li fissò allibito. Erano freddi, spenti, privi di anima.
Nel frattempo una famiglia con i suoi due bambini si era fermata a contemplare la stessa vetrina. Teddy mosse allegramente le sue zampine per salutare i due bambini, certo di poter catturare la loro attenzione.
Ma quelli non lo videro nemmeno. Si gettarono contro la vetrina investendo il povero orsetto che finì per essere scaraventato nuovamente tra la neve e la fanghiglia.
L’orsetto Teddy si rimise in piedi, grigio e sporco, fissò ancora una volta con aria triste i bambini che si sbracciavano sulla vetrina e poi si allontanò a capo chino.
La luce del giorno si spegneva lentamente mentre l’aria si faceva sempre più gelida e pungente. L’orsetto Teddy non si era mai sentito tanto triste. Quei freddi pezzi di latta che aveva visto nelle vetrine avevano preso il sopravvento: tutti impazzivano per loro. Il mondo si stava dimenticando di lui.
Venne la sera, buia e silenziosa. La gente era ormai corsa nelle proprie case a preparare la cena di Natale e presto si sarebbe riunita attorno a ricche tavole imbandite e allestite secondo le ultime mode natalizie. Non c’era più nessuno fuori e anche i lampioni lungo le strade sembravano emanare una luce debole e fioca, come se, anche loro, fossero impazienti di spegnersi.
La neve cominciò a scendere. Tra i fiocchi bianchi che danzavano nell’aria, l’orsetto Teddy intravide un piccolo edificio, dimesso e un po’ fatiscente davanti al quale se ne stava, da solo e avvolto in una coperta un po’ logora, un bambino. Era seduto sui gradoni d’ingresso, le ginocchia al petto e il capo abbandonato su di essi.
L’orsetto Teddy si avvicinò e lesse l’insegna che campeggiava davanti all’ingresso: “Orfanotrofio”.
«Ciao!» disse Teddy «Come ti chiami?»
«Noah» il bambino, che non doveva avere più di dieci anni, non lo guardò neanche. Aveva i capelli biondi, un po’ spettinati, e gli occhi gonfi per le lacrime che a stento tratteneva.
«Che ci fai qui fuori? È Natale!» chiese Teddy.
«Non mi piace stare lì!» rispose Noah con furia nascondendo il viso tra le ginocchia «Mi sento sempre solo là dentro!» la voce del bambino era spezzata da qualche singhiozzo «E quest’anno non c’era neanche un regalo per me sotto l’Albero di Natale».
L’orfanotrofio, infatti, non era dei più ricchi. L’intonaco si staccava dalle pareti e tante piccole crepe correvano come sinistre ragnatele lungo la facciata centrale. Probabilmente non avevano potuto permettersi un Natale felice per tutti.
L’orsetto Teddy ripensò per un attimo a Luca e ai suoi genitori e poi anche alla famigliola che aveva intravisto durante il giorno.
Si avvicinò a Noah e con una zampina ancora un po’ sporca di fango accarezzò la spalla del bambino con tenerezza:
«Posso essere il tuo regalo di Natale?»
Il piccolo orfano alzò lo sguardo, stupito e notò l’orsacchiotto che gli sorrideva.
I suoi occhi si fecero grandi e si accesero come una stella che fa capolino dietro le nuvole, dopo una tempesta. Qualche lacrima rigò le guance rosse dal freddo di Noah.
«Sì» rispose Noah, stringendo Teddy tra la braccia.
Non faceva più così freddo, ora.
Quello fu il più bel Natale per entrambi.