Quale modo migliore di iniziare il tredicesimo giorno del Calendario dell’Avvento se non con un racconto di Natale inedito? Ecco quindi Shinny, la fata dei fiocchi di neve.
Siccome è uscito abbastanza lungo, non mi perderò eccessivamente in chiacchiere; ti basti sapere che è una storia di accettazione e di voglia di essere felici.
Shinny, la fata dei fiocchi di neve
Shinny adorava il suo compito: era una fata dei fiocchi di neve. Così come per gli elfi di Babbo Natale, i pastori del presepe e i produttori di panettoni e pandori, l’inverno era anche per lei il periodo dell’anno più ricco d’impegni, con le feste alle porte e il freddo finalmente arrivato.
Ah, che sbadata, non ti ho ancora spiegato bene il compito di Shinny! Quando era piccina, poco dopo essere nata alla schiusura di un tulipano, desiderava essere una fata dei fiori, che riempie di colore le corolle, sbocciare i boccioli e che aiuta le api nella raccolta del miele. Con il passare dei mesi, però, le sue ali avevano sempre più assunto la forma di foglie ricoperte di neve, i suoi capelli corti e sbarazzini erano diventati di un fantastico color azzurro ghiaccio e la sua magia, come effetto collaterale, sprigionava un po’ di aria fresca.
Era stato solo una volta giunto l’inverno, che aveva finalmente capito come mai non dimostrasse un’affinità con nessun altro elemento: in una fredda mattina di novembre, le bastò sfiorare quasi per sbaglio una gocciolina di rugiada, per vederla trasformarsi in un cristallo di ghiaccio proprio davanti ai suoi occhi.
Quando, poi, quella sera aveva cominciato a cadere una pioggia gentile, Shinny decise di fare un esperimento, e si mise a danzare tra le gocce. E tutta quell’acqua divenne neve. Fu il giorno in cui divenne ufficialmente Shinny, la fata dei fiocchi di neve.
Non sto qui a raccontarti le sue mille avventure, oppure tutte le marachelle che ha combinato insieme a Jack Frost o, ancora, tutte le occasioni in cui è corsa in aiuto di Babbo Natale, creando in extremis una pista di atterraggio per la sua enorme slitta. Fatto sta che Shinny era felice, si sentiva realizzata ed era certa del suo posto nel mondo: lei era la fata dei fiocchi di neve, e aveva tutta l’intenzione di scatenarsi e divertirsi.
Stava per lanciarsi nuovamente in una danza scatenata, creando cristalli a ogni piroetta, quando notò una macchia di colore nel bianco. Che fosse un bambino smarrito? Purtroppo, le era già capitato di dare il via a una grande nevicata, e accorgersi solo a cose fatte che non tutti i bambini avevano fatto in tempo a rientrare in casa. Ricordava ancora la paura che l’aveva pervasa, mentre faceva del suo meglio per sciogliere o spostare la neve e creare un passaggio che li portasse fino al caldo dei loro focolari. Ogni volta che ci ripensava, la paura e il senso di colpa le scorrevano di nuovo nelle vene. Si era ripromessa che mai più avrebbe compiuto quell’errore, e da quella volta aveva sempre prestato la massima attenzione e controllato più volte, prima di lasciare libera la sua magia.
Pensava di trovare un giocattolo o un berretto abbandonato, non certo un’altra fata, rannicchiata e tremante. Aveva capelli di un rosso così acceso da sembrare fuoco, che le scendevano in lunghe onde scarlatte quasi fino alla vita; l’abito che indossava era di petali della stessa tonalità accesa, con accenni di oro e bronzo, e decisamente poco adatto alla stagione invernale.
“Ehilà, fata dell’estate!” la chiamò Shinny, sfilandosi la mantella argentata che portava (quasi completamente una scelta di stile, piuttosto che una necessità) e depositandola sulle spalle tremanti dell’altra. “Mi chiamo Shinny e sono la fata dei fiocchi di neve.”
“Sono Aki, e non credo proprio di essere una fata dell’estate.” rispose l’altra, stringendosi nel caldo dono e guardando Shinny con occhi affranti di un coloro rame lucente e vibrante.
“Perché no?” le chiese la fata invernale, mentre l’aiutava ad alzarsi e la sosteneva, volando verso casa. Le ali di Aki erano troppo deboli sopportare da sole il suo peso, per quanto esile. “I tuoi colori sono proprio quelli dell’estate!”
“Lo so! Ma sono anni, fin da quando sono nata, che cerco di far sbocciare fiori, aiutare frutti a diventare maturi o germogli a sbucare in superficie, senza che mi riesca una sola magia! Ho viaggiato in tutto il mondo alla ricerca della pianta perfetta per me. Ho persino provato ad aiutare i fiori di serra, ma nulla. Nessuno sboccia, anzi, sembrano rinsecchirsi al mio passaggio. Le altre fate dell’estate non vogliono avere niente a che fare con me, spaventate che la mia vicinanza rovini i loro poteri.”
Shinny era esterrefatta. Non aveva spesso a che fare con altre sue simili, visto che era l’unica fata dei fiocchi di neve in zona, ma le sembrava un comportamento inaccettabile!
Fu proprio mentre cercava le parole giuste per rispondere, che i suoi occhi si focalizzarono sulle ali di Aki. Ora che era al riparo e al caldo, la sua magia aveva ricominciato a scorrere e risplendere, trasformando quelli che sembrava grandi petali di rosa in foglie color dell’oro e del bronzo. Allora Shinny osservò meglio la sua nuova amica e si rese conto che anche la gonna non era un fiore, ma uno splendido bouquet di foglie autunnali.
“Aki!” esclamò eccitata “E se tu non fossi una fata dell’estate? Se fossi una fata dell’autunno?” l’altra la guardò scettica.
“Non ho mai sentito parlare di fate dell’autunno.”
“E io non conosco nessun’altra fata dei fiocchi di neve, ma ciò non cambia il fatto che io lo sia!”
L’anno successivo, quando ormai l’estate stava giungendo al termine, Aki si posò sul ramo di un grande acero e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Shinny, liberò nell’aria la sua magia. Piansero entrambe lacrime di gioia, quando le foglie s’incendiarono di un rosso acceso e brillante. Shinny aveva proprio avuto ragione, in quella fredda giornata d’inverno: mai negarsi una possibilità, solo perché fino a quel momento era sconosciuta.