Bonaccorso Pitti, un fiorentino speciale che più speciale bisogna andare a cercarlo col lanternino, si dice qui. E non facciamoci ingannate dal cognome, i Pitti, tra il 1300 e 1400 non erano ancora la potentissima famiglia che ha costruito uno dei palazzi più belli di Firenze, a mio parere il più bello. I Pitti all’epoca erano solo una delle tante famiglie importanti di Firenze, come lo erano i Medici, gli Strozzi, gli Aldobrandi, i Peruzzi, i Cavalcanti, i Bardi, i Doni e tanti altri cognomi che hanno fatto la storia del Rinascimenti italiano.
Siamo qui alle radici, ai prodromi del potere di Firenze: Firenze è un francobollo che cerca di destreggiarsi a suon di fiorini e di finanziamenti, tra il potere del Papa, quello dell’Imperatore, tra il Re di Francia e il signore di Milano, quel Visconti che approfittò della cattività avignonese per portare sotto i suoi domini buona parte della Romagna, possedimento pontificio.
Ma torniamo al nostro Bonaccorso Pitti, fiorentino speciale tra 1300 e 1400, di famiglia Guelfa, nato dall’unione di un Pitti e una Strozzi: siamo nel 1374 quando venne spedito a far pratica da mercante presso un cugino e con lui, e con Matteo Tinghi Bonaccorso cominciò a viaggiare. Genova, Pavia, Nizza, Avignone (finendoci in carcere… ma son dettagli). Squattrinato e appena uscito da un attacco di peste, il giovane, che era stato mollato dal cugino in mezzo all’Europa, lontano da Firenze, cominciò a giocare per finanziarsi.
A giocare, sì, caro lettore, Bonaccorso Pitti diventò un giocatore quasi di professione. Cominciò a Buda a mettere insieme soldi e a reinvestirli in mercanzie o, tieniti forte, in prestiti. Dalla sua autobiografia, Ricordi, che sto leggendo di gran gusto, non si comprende bene il tasso a cui cominciò a elargire prestiti, si sa solo, ed è abbastanza chiaro, che prestò soldi (parecchi) al duca di Savoia, al duca di Bramante, a parecchi prelati perfino.
Di ritorno a Firenze, Bonaccorso si trovò coinvolto nella rivolta dei Ciompi e… embè capita, una spintarella di qua, una di là… e beh, gli capitò di ammazzare uno scalpellino. Nei suoi Ricordi, le memorie che lui ha lasciato per i suoi discendenti, descrive con una tale verve l’episodio, che non solo si giustifica l’omicidio con la legittima difesa, ma si vede anche con chiarezza, la mentalità fiorentina dell’epoca, che a dire il vero è cambiata solo per certi versi.
Insomma sta di fatto, che questo scalpellino, che manifestava per poter avere accesso alla vita della signoria, puntò una spada sul petto del Pitti e lui per tutta risposta lo uccise con uno stocco. E la gente intorno a lui che si complimentava per la grande prontezza di riflessi. Bella la chiusura dell’episodio in cui Bonaccorso sostiene: tutti dissero che lo avevo fatto per difendermi e nessuno ne parlò più. Ecco, sciacquata la coscienza.
E però invece le autorità lo andarono a cercare e lui scappò a Pisa dando il via a una vita rocambolesca piena di fortune che si susseguono a sfortune. Amici carissimi, fratelli uniti e nemici giurati, come i potenti Ricasoli e i Corbizi, famiglie con cui i Pitti avevano contese giuridiche e che hanno cercato in ogni modo di ostacolare il magnifico Bonaccorso nelle sue vicende di vita.
Fu di certo riammesso a Firenze e prese parte più volte alla vita cittadina. fu ambasciatone di Firenze davanti all’imperatore e al Papa, fu Capitano di giustizia in molti dei presidi (chiamiamoli così) della città di Firenze: da Pistoia a Lucca fino alla sperduta Castrocaro, il grandioso e stupendo fortilizio, capoluogo della Romagna Toscana.
Fu quella una vicenda curiosa, narrata da Enzo Caruso in Castrocaro nel Rinascimento: la fortezza di Castrocaro era rimasta l’unica non conquistata dalla brama milanese. I Visconti si erano impossessati di Dovadola, Forlimpopoli, Rocca San Casciano, Civitella, Galatea. In città Bonaccorso Pitti, ormai non più giovincello visto che siamo già al ‘carnasciale'(carnevale) del 1423, è Capitano di giustizia. Sette castrocaresi, pagati dagli Ordeleffi signori di Forlì e vassalli del Papa, tentano di aprire la porta delle mura alle truppe milanesi assiepate all’esterno. Bonaccorso li scopre, salva la città, giustizia cinque dei sette traditori e respinge gli invasori. Un vero eroe.
Bonaccorso Pitti, un fiorentino speciale tra 1300 e 1400.
Mezzo cavaliere mezzo mercante, casanova ante litteram, nonostante avesse una moglie, Francesca (cuore mio…) della famiglia Albizzi che gli dette 13 figli. Grande giocatore non per dipendenza ma per necessità, dialogatore, affabulatore, tessitore di trame in una Firenze che era troppo piccola per essere enumerata tra le potenze ed era popolata da gente troppo grande per non valere quanto un impero.
I suoi Ricordi, un’autobiografia dettagliatissima, sono uno spasso, un po’ si vanta delle sue avventure, un po’ ci fa stare col fiato sospeso, un po’, molto direi, ci introduce in uno spaccato della vita politica europea che fu estremamente complessa descrivendo caratteri e comportamenti di papi, sovrani e nobili di altissimo rango con cui lui aveva amicizie personali, da cui era amato e odiato, per cui lavorava e con cui collaborava.
Concludo questi miei ammiratissimi cenni alla figura di Bonaccorso Pitti, dicendo che, più studio la storia di Firenze, più mi imbatto nei suoi grandiosi personaggi, più ho l’impressione, che la grandezza della storia fiorentina risieda nell’avventata scaltrezza dei suoi abitanti. Gente intelligente e furba, svelta di mano, di cervello e di gambe, per scappare all’occorrenza. Se non vi siete mai avvicinati alla storia di Firenze, necessita farlo!