Benjamìn Labatut ha vinto il premio letterario Galileo 2022. Il 41enne scrittore olandese, ma cresciuto in Cile, ha convinto tutti i giurati del premio per la divulgazione scientifica, promosso dal Comune e dall’Università di Padova, grazie a quel curioso caso letterario che è stato Quando abbiamo smesso di capire il mondo, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2021.
Benjamìn Labatut vince il Premio Galileo 2022
Saggio che accoglie il vento di apparente semplificazione della fisica e della scienza, elevato a poetica da Carlo Rovelli con la sua saga sul concetto di tempo (sempre Adelphi), inanellando una serie di accattivanti rievocazioni storiche e aneddoti biografici. Dal chimico tedesco Fritz Haber, ideatore di un composto chimico originale che sterminerà migliaia di fanti francesi a Ypres nel 1915, e che scoprirà come dal blu di Prussia si otterrà lo Zyklon che sterminerà milioni di ebrei; all’astronomo tedesco Karl Schwarzschild ossessionato dalla luce e che spiegò con un’equazione il modo in cui la massa di una stella deforma lo spazio e il tempo circostanti; fino alla celebre diatriba di fisica quantistica tra Heisenberg e Schordinger, sorta di scontro naif tra fisici “pragmatici” e fisici “filosofeggianti”.
Un sapere saggistico che si fonde con naturalezza in forma descrittiva romanzata per accogliere appieno una delle tante intuizioni di Wittgenstein: registriamo solo i fenomeni del mondo che le nostre congetture riescono a comprendere, quindi i limiti della nostra lingua sono i limiti della nostra conoscenza.
Benjamìn Labatut fa scivolare l’assunto portante tra fantasmi militari e guerreschi di inizio secolo, corpi malati, annientati e in decomposizione, ma soprattutto insinuandosi come limite empirico conoscitivo nella matematica e nelle branche della scienza che ne derivano. Insomma quanto c’è al di là di noi oltre quello che siamo capaci di vedere?
Quando abbiamo smesso di capire il mondo
C’è chi si indispettisce, come l’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir. C’è chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon.
E c’è invece chi si rende conto, come il giovane Heisenberg durante la sua tormentosa convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova.
Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare. È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.