Yasunari Kawabata, uno dei più grandi scrittori del ‘900 che ha regalato all’occidente la più bella letteratura giapponese.
Nato a Osaka nel 1899 e morto in circostanze misteriose nel 1972 a Tokyo (è stato ipotizzato il suicidio ma i familiari hanno sempre negato, dichiarando la morte di Yasunami conseguente ad un incidente domestico) fu uno dei più illustri scrittori giapponesi, uno dei pochi che è riuscito a far apprezzare il genere anche in occidente; nel 1968 fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
Il primo romanzo di Kawabata ad essere stato tradotto in italiano nel 1959 è Il Paese delle Nevi, una struggente storia d’amore tra una geisha e un signore ricco e raffinato, amore destinato a mille difficoltà e sentimenti contrastanti; è ritenuta anche l’opera più importante di Kawabata anche se in effetti la sua produzione è molto estesa e varia fino ai suoi ultimi giorni. Anche se l’autore risulta uno degli scrittori giapponesi più tradotti in occidente e in Italia, molte delle sue opere purtroppo risultano ancora sconosciute. Pressoché ignota ai lettori italiani, tra l’altro, la sua produzione di carattere commerciale.
“Il paese del titolo è il paradiso terrestre sulla costa occidentale della maggior isola del Giappone, dove sorgono terme squisite, e delicati luoghi di villeggiatura. È questa la scena su cui si dipana la storia di Shimamura, ricco e raffinato esteta, e Komako, geisha delle terme. Komako fa parte di una categoria di geishe assai diversa da quella di città: le cortigiane del paese delle nevi non potranno mai diventare famose musiciste o danzatrici. Il loro destino è quello di maturare tra gli incanti e la corruzione di quel luogo appartato, dedito alla ricerca del riposo perfetto. Quello dei protagonisti è quindi un incontro d’amore elusivo e precario.”
Sicuramente difficili da comprendere per noi occidentali molti dei rigidi protocolli che la cultura giapponese applica nella sfera comportamentale e sentimentale, amore compreso, possiamo tramite i capolavori di questo artista immergerci in un mondo totalmente magico, nel quale l’autore riesce ad esprimere con profonda poesia l’incanto della neve, vissuta come metafora della purezza e dell’eleganza, e di tutta la natura circondante i luoghi dove avviene la storia, storia di un amore impossibile e contro le regole, specchio di una società che vive di rituali e cerimoniali per la maggior parte di noi astrusi e insensati. La natura diventa allora la coprotagonista che racchiude l’immensità e l’eternità del tutto e al tempo stesso l’inesorabilità del poco tempo concesso all’uomo.
“… Specialmente quando una luce spersa tra i monti brillava al centro della faccia riflessa della ragazza, Shimamura sentiva gonfiarsi il petto per quell’inesprimibile bellezza. Il cielo sulla montagna conservava tenacemente tracce del rosso tramonto. Si distinguevano ancora, chiare in distanza, alcune sagome frastagliate, ma il monotono paesaggio montagnoso, senza più colore, era sempre lo stesso per miglia e miglia, più che mai identico. Nulla colpiva lo sguardo, tutto pareva fluire in una grande, informe emozione. E questo certamente perché la faccia della ragazza vi galleggiava sopra… Shimamura aveva l’illusione che il paesaggio notturno passasse effettivamente sopra quel volto, e il suo continuo fluire gl’impediva di constatare se fosse davvero così. […] Allora una luce brillò in quella faccia. Il riflesso nel vetro non era abbastanza forte da cancellare la luce esterna, né la luce abbastanza forte da cancellare il riflesso. La luce si muoveva attraverso la faccia, senza però illuminarla. Era una luce fredda, distante. Appena essa attraversò con il suo piccolo raggio la pupilla della ragazza, appena l’occhio e la luce si furono sovrapposti l’uno sull’altra, l’occhio diventò una particella fosforescente, misteriosamente bella, sulla nera distesa delle montagne…“
Kawabata fu autore, oltre che di sceneggiature e racconti, anche di saggi: La bellezza del Giappone e io fu anche il titolo del suo discorso durante il ricevimento del Premio Nobel per la Letteratura, dedicato soprattutto al Buddhismo Zen e alle sue differenze da altre forme di buddhismo. Parlò anche dell’Ikebana e del Bonsai, pratiche artistiche che enfatizzano la semplicità e la bellezza. Lettere – 1945-1970 è l’epistolario tra Kawabata e il suo amico Mishima Yukio, anch’egli scrittore, poeta, drammaturgo e regista cinematografico morto suicida nel 1970. Si pensa che Kawabata non abbia mai superato lo shock della morte dell’amico e che per questo abbia deciso di terminare la sua vita allo stesso modo; venne infatti trovato morto in casa nel 1972, asfissiato dal gas. Forse una grave malattia l’aveva colpito (si ipotizza il Parkinson) o forse la depressione che l’aveva accompagnato tutta la vita divenne insostenibile; ad ogni modo, non essendo stati trovati messaggi d’addio o lettere, il caso venne archiviato come “incidente”.