“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita…” comincia così la Divina Commedia, il poema che canta alle genti e onora il divino, un’opera che per secoli le generazioni hanno letto, amato e studiato. Un inno alla sapienza, al Dio di tutti gli uomini, che ama e comprende ma che punisce se si contrasta il suo Verbo; è così che Dante immagina il suo Dio.
Il personaggio non ha certo bisogno di presentazioni. Chi più chi meno, che sia stato coinvolto dalla passione per la letteratura o per obbligo didattico, non ha potuto evitare di confrontarsi con Dante Alighieri, padre della lingua italiana, colui che in qualche modo ha segnato l’inizio della rinascita culturale e della libertà di pensiero. È un concetto che Dante acquisisce vivendo il suo tempo, quel Medioevo di cui respira da subito le contraddizioni, i conflitti interni dei Guelfi e del Ghibellini, la violenza repressiva che non giunge solo dal desiderio di supremazia delle vicine provincie, un atteggiamento che lo colpisce e da cui prende le distanze. Avendolo studiato, non possiamo non guardare a questo tempo intermedio come un secolo positivo, perfino la memoria storica ce lo riferisce efferato e senza morale, eppure dietro le quinte di un mondo segnato dalla depravazione, si sente la necessità del cambiamento, di una cultura nuova, le energie letterarie iniziano a dare i loro frutti, si guarda al futuro con sguardo critico ma con fiducia.
È indubbio che il Medioevo sia stato un periodo storico di transizione ma rispetto alla sua realtà, Dante, avendone le competenze, con spirito critico ne anticipa l’evoluzione, puntando il dito sulle carenze ma risaltandone anche i pregi. La spiegazione risiede nelle sue origini: il Poeta è figlio della piccola nobiltà, cresce da privilegiato, è spinto allo studio dai francescani, s’immerge nella poetica degli “stilnovisti”, il suo non è solo un cuore nobile per nascita, è pervaso da nobili sentimenti come quello per Beatrice, il suo rinascere a Vita nuova parte dall’amore e dall’amicizia, lo scrive lui stesso in un’opera in volgare dedicata alla donna della sua vita.
Degli occhi suoi, come ch’ella li mova,
escono spirti d’amore inflammati,
che fèron gli occhi a qual che allor la guati,
e passan sì che ‘l cor ciascun ritrova.
Una lirica che annuncia, in qualche modo, la sua partecipazione alla vita pubblica, le affianca i sonetti lirici delle Rime, cinquantaquattro componimenti scritti nello lo stesso stile, tra la giovinezza e l’esilio e ispirati dalla scrittura dell’amico Cavalcanti. Alla morte di Beatrice Dante ha solo 20 anni ed è padre di quattro figli ma il suo spirito critico lo porta verso tematiche filosofiche e agli studi filologici, si adegua ai tempi e risalta anche il suo ruolo all’interno della vita politica fiorentina, in antitesi rispetto al potere temporale della chiesa e per questo costretto poi all’esilio.
È indubbio che per Dante l’esilio è una pena difficile da accettare ed è in questa fase di conflitto interiore che il poeta progetta la futura Commedia. La storia ci rimanda infatti la figura di un uomo dall’animo afflitto ma dallo sguardo duro e non per questo meno reattivo anzi, scrive il Convivio con il quale sprona le genti affinché non si allontanino dalla “conoscenza” da lui considerata il cibo della mente. Contemporaneamente pubblica il De vulgari eloquentia, quattro libri scritti in latino in cui esprime la necessità di riscoprire un linguaggio nuovo, a suo dire un linguaggio illustre, ripulito dal dialetto locale e compreso da tutti. Il percorso del Poeta è un lungo e costante cammino di consapevolezze e sperimentazioni letterarie per permettere che la lingua stessa diventi mezzo comune per arrivare alla conoscenza. È di questo Dante che ti voglio parlare, uomo di eccellenza, dall’animo nobile e dal “cor poetico” capace fin da subito di inquadrare la realtà ben distinta tra i “cattivi” che lo avevano allontanato dalla sua terra, a coloro che si erano “redenti” comprendendo gli errori fatti, senza dimenticare la categoria dei buoni, quelli il cui sacrificio aveva portato alla giustizia e al bene comune.
Si delinea concretamente il progetto di una Commedia che impegnerà il poeta per tutta la sua vita, cento canti, un’opera magistrale, tesa alla comprensione di un Dio Superiore, figlia del suo tempo ma, per gli aspetti trattati, molto più vicina alla nostra realtà di quanto possa sembrare. Dante è sempre presente a se stesso, è uno spirito giudicante, addita i prepotenti così come poco si allinea con chi non ha il coraggio delle proprie idee.
“Gli uomini mutevoli e facili a giudicare] sono da chiamare pecore, e non uomini; ché se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l’altre andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d’una strada salta, tutte l’altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che ‘l pastore, piangendo e gridando, con le braccia e col petto dinanzi a esse si parava”.
Il Poeta immagina così un lungo viaggio fatto dall’uomo attraverso l’aldilà, guidato dal fido Virgilio nel passaggio dall’Inferno, selva del peccato, al purgatorio, per ritrovare la ragione e giungere infine alla consapevolezza della Fede nel Paradiso, l’unica speranza perché l’uomo possa salvare la sua anima.
Le mie forze, a questo punto, vennero meno;
il desiderio di sapere e la volontà parevano mossi
come una ruota di moto uniforme,
che è l’amore che muove l’intero universo.
Dante, in fondo, parte dalla sua vita e da ciò che ha vissuto; le note lo presentano come poeta, letterato, politico, studioso di filosofia e teologia, ma alla fine di tutto è un uomo, scrive Marco Martinelli, regista e fondatore della compagnia Teatro delle Albe autore di Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia, un’originale biografia edita da Ponte delle Grazie e dedicata al Poeta, presentata all’inaugurazione di una sezione per i ragazzi del Centro Dantesco dedicata ad Andrea Chaves e alla sua volontà di far conoscere Dante ai giovani.
Questo è il suo pensiero…
“Ha ancora senso leggere, o rileggere, la Commedia di Dante Alighieri, quella che Boccaccio definì Divina? Che cosa ha da dirci oggi il Padre della nostra lingua? Probabilmente tanto. Basta mettere da parte il Monumento della letteratura italiana che tutti ci invidiano, quello che si è obbligati a studiare a scuola, e considerarlo anzitutto un uomo come noi. Un uomo però attento al mondo circostante. Il Dante in carne e ossa è stato, come tutti, ragazzo e da ragazzo ha visto la sua città, Firenze, dilaniata dal conflitto tra guelfi e ghibellini; crescendo è diventato letterato e poeta, cittadino impegnato in politica, e per questo costretto all’esilio; vittima infine della malaria verrà sepolto lontano dalla sua patria, a Ravenna. Dante aveva conosciuto la realtà dell’inferno in terra e l’ha trasfigurata con la forza della sua immaginazione nell’Inferno, aveva sperimentato la possibilità di ricominciare e l’ha trasposta nel Purgatorio, aveva conosciuto la potenza dell’Amore e l’ha sublimata nel Paradiso. Per capirlo occorre tuttavia sapersi accostare al poeta come ha fatto Marco Martinelli grazie all’insegnamento di un altro padre: il suo. Vincenzo Martinelli ha trasmesso al figlio la passione per questo Dante a tutto tondo, così come gli ha trasmesso la curiosità per la Storia, l’interesse per le vite altrui, un senso alto della politica. Martinelli affianca alle parole di Dante e ai racconti sul suo tempo memorie più personali ed eventi più recenti, più contemporanei scontri tra Neri e Bianchi, facendo dialogare il Due-Trecento con il Novecento in una rilettura della Commedia che, oltre al libro, anima anche uno spettacolo teatrale.
Che ne pensi? A me piace questo Dante moderno, curioso della vita, sempre attento e partecipe della realtà che lo circonda, da quella sociale a quella politica, è un reazionario che si schiera e si assume la responsabilità di ciò che scrive, subisce la repressione, l’esilio e con orgoglio rifiuta di ritornare alla sua città. Se non sapessimo che è Dante Alighieri si potrebbe pensare ad un Che Guevara senza il mitra, agli impavidi che, lottando contro la cattiveria del mondo, che alle armi hanno preferito le parole. E allora ben venga che anche ai posteri sia dato da leggere Dante, la sua Divina Commedia e tutti i suoi pensieri. È l’esempio più prezioso che possiamo regalare ai nostri figli: l’arte del pensare!!