Caro Lettore, oggi sono qui a parlarti di uno scrittore al quale sono molto legata e che, in un certo senso, ha molto influito su certe mie scelte di vita. È per questo motivo che con un po’ di timore reverenziale procedo di parola in parola, sperando di poter rendere giustizia, almeno in parte, a un autore così grande, di cui si potrebbe stare a parlare per giorni e giorni, senza stancarsi mai. Senza più indugi, inizio a parlarti di William Shakespeare.
Nato nel 1564 a Stratford-upon-Avon, l’opera letteraria del Bardo d’Inghilterra si inserisce in un contesto culturale di non poco conto: siamo nell’Età elisabettiana, un periodo storico ricchissimo dal punto di vista artistico-letterario. La regina Elisabetta I, donna colta e amante delle arti, aveva tratto un grande insegnamento dal regno del padre Enrico VIII: come lui, decide di dare grandissima importanza al mecenatismo, circondandosi di grandi autori e artisti e proseguendo nel cosiddetto “Rinascimento inglese” già avviato dal padre. Sono molti gli autori inglesi che conoscono un grande successo in questa età: Edmund Spenser, Philip Sidney e l’avversario di Shakespeare, Thomas Marlowe, sono solo alcuni degli autori di questo periodo che ancora oggi ricordiamo con grande ammirazione.
Il Bardo dell’Avon fu autore prolifico e riuscì a ottenere la protezione di importanti figure nella società aristocratica del tempo, quali il Conte di Southampton e il Conte di Pembroke: questo gli permise di potersi dedicare anima e corpo alla scrittura e di farne allo stesso tempo il mezzo per il suo sostentamento. Ottenere la protezione di nobili era cosa assai difficile per gli artisti, ma il talento e la sagacia del Bardo erano un qualcosa di innegabile.
L’attività creativa di William Shakespeare si divide in 4 fasi. Questa suddivisione, operata dai più grandi studiosi shakesperiani, ci permette di capire l’evoluzione del macrotesto ma soprattutto ci dà la possibilità di comprendere come la sua produzione letteraria si sia evoluta in rapporto con gli avvenimenti della sua vita e di quanta umanità si celi dietro alle parole e ai personaggi da lui creati.
Il primo periodo potrebbe essere definito come una sorta di apprendistato in cui Shakespeare sperimenta varietà di generi, passando dal comico al tragico. A questo periodo appartengono La Bisbetica domata, I due Gentiluomini di Verona, La Commedia degli Errori, i drammi storici Enrico VI e Riccardo III e la tragedia Tito Andronico.
Nel secondo periodo Shakespeare ha già acquisito grande notorietà: è un periodo positivo per lui e ciò si traduce nelle sue opere, in cui prevale la vena comica. È il periodo delle grandi commedie, tra cui Il Mercante di Venezia, Sogno di una Notte di Mezza Estate, Molto Rumore per Nulla. Di questo periodo fa anche parte la tragedia Romeo e Giulietta e il dramma storico Riccardo II. Ma se si tratta di un periodo positivo per il Bardo, perché scrive opere che sono considerate dall’opinione pubblica tragiche, con un niente di positivo? Perché, sebbene Romeo e Giulietta sia una delle più grandi tragedie shakesperiane, non ha niente della tragicità delle grandi tragedie, come Macbeth, Amleto o King Lear. Metà di Romeo e Giulietta potrebbe essere considerata una commedia galante, romantica, in cui il lettore rimane estasiato dai versi d’amore che i due innamorati si scambiano. Il noto epilogo negativo della tragedia è frutto dell’azione del fato: Romeo si uccide credendo che la sua Giulietta sia ormai morta. Il grande nemico qui è il tempismo, e la morte dei due giovani apre a una riappacificazione tra i Montecchi e i Capuleti e quindi a un esito positivo, cosa che non troviamo in Amleto o in King Lear. Lo stesso accade in Riccardo II: sebbene il dramma storico abbia un finale negativo, la figura di Riccardo II non è minimamente paragonabile, per esempio, al personaggio tirannico di Riccardo III nell’omonimo dramma. Re Riccardo II non è malvagio, è semplicemente un re troppo debole, troppo umano, perseguitato da un fato che l’ha portato su un trono che non riesce a mantenere:
Cover your heads and mock not flesh and blood
With solemn reverence: throw away respect,
Tradition, form and ceremonious duty,
For you have but mistook me all this while:
I live with bread like you, feel want,
Taste grief, need friends: subjected thus,
How can you say to me, I am a king?
(Coprite la vostra testa e non deridete carne e sangue con solenne riverenza: gettate via rispetto, tradizione, formalità e doveri. In tutto questo tempo voi mi avete frainteso: io vivo di pane come voi, provo desideri, assaporo il dolore, ho bisogno di amici. Così asservito, come potete dire che sono un re?)
È un sognatore, un idealista, ma non vi è malvagità in lui, piuttosto inadeguatezza. Ed è proprio in questa delineazione del personaggio che noi possiamo cogliere quella vena ottimistica che permea il secondo periodo della sua produzione letteraria.
Dal periodo delle grandi commedie passiamo al terzo periodo, quello delle grandi tragedie. È un periodo molto difficile nella vita di Shakespeare: la morte del figlio Hamnet getta l’autore in una grande crisi. È nei suoi personaggi che noi possiamo percepire il suo dolore e la generale crisi epistemologica che lo affliggeva. Passaggi del Macbeth quali “La vita non è che un’ombra in cammino; una favola raccontata da un idiota che non significa nulla” e “Comincio a essere stanco del sole, vorrei che cadesse sfasciata l’impalcatura del mondo” o del King Lear “Perché un cane, un cavallo, un topo hanno vita e tu nemmeno un respiro? Tu non tornerai più, mai, mai, mai, mai, mai più!”, testimoniano il grande dolore provato dal drammaturgo e in essi noi possiamo leggere chiaramente il suo stato d’animo. Altre grandi tragedie di questo periodo sono Amleto, Othello, Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra.
Giungiamo infine al quarto e ultimo periodo. In questa fase abbiamo ormai uno Shakespeare giunto alla maturità che ha tratto insegnamento dal dolore provato: le commedie di questo periodo risentono del periodo delle grandi tragedie. Il male è il motore dell’azione, ma è un male che viene superato ed esorcizzato. Le commedie di questa fase sono Pericle, Il Racconto d’Inverno e La Tempesta. È con quest’ultima che Shakespeare dà l’addio alle scene, un addio che sembra risuonare nelle parole di Prospero: “ Ora i miei incantesimi si sono tutti spenti, la forza che possiedo è solo mia ed è poca”
Per quanto riguarda i Sonetti, è difficile riuscire a inserirli in una di queste fasi, essendo stati scritti a più riprese. I Sonetti comprendono 154 componimenti, i primi dedicati a un Fair Youth e i seguenti dedicati a una Dark Lady. Verso questi due enigmatici personaggi l’io poetico rivolge due tipi diversi d’amore: un amore spirituale e platonico nei confronti del Fair Youth e un amore terreno, lussurioso nei confronti della Dark Lady. La grande novità dei Sonetti consiste nell’aver spezzato i legami con la tradizione e l’aver proposto una visione diversa dell’amore rispetto a quello perfetto, purificante e a tratti anche un po’ inautentico proposto dalla lirica petrarchesca. William Shakespeare si distacca dalla tradizione, da questa visione un po’ fasulla della donna angelicata e perfetta in ogni suo aspetto. Shakespeare mira all’autenticità e ne vediamo un chiaro esempio nel sonetto 130, in cui spezza e ribalta tutti gli usuali metri di paragone utilizzati dai poeti per esaltare le rispettive amate:
Gli occhi della mia donna non sono come il sole;
Il corallo è assai più rosso del rosso delle sue labbra;
Se la neve e’ bianca, allora i suoi seni sono grigi;
Se i capelli sono crini, neri crini crescono sul suo capo.
Ho visto rose damascate, e rosse, e bianche,
Ma non ne vedo sulle sue guance;
E in certe fragranze c’è più delizia
Che nel fiato che la mia donna esala.
Amo sentirla parlare, eppure so
Che la musica ha un suono molto più lieto.
Ammetto di non aver mai visto camminare una dea,
Ma la mia donna, quando cammina, calpesta il suolo.
E malgrado tutto ciò, ritengo che la mia amata sia straordinaria
Come ogni altra donna falsamente cantata con immagini esagerate .