Ernest Hemingway, uno fra gli scrittori americani più avventurosi e riconoscibili. Uno stile inconfondibile e una vita divisa fra amore, guerra e avventura, con contorno di Premio Nobel.
La prima volta che ho incontrato Ernest Hemingway fra le mie letture, ero una ragazzina. Avrò avuto, si e no, quindici o sedici anni quando lessi Addio alle armi. Inutile dire che mi ha segnata: segnata e contagiata al punto da scopiazzare e adottare nei temi d’italiano, il suo stile di scrittura. E non ti racconto degli scontri con l’insegnante di lettere che mi prendeva bellamente e giustamente in giro per questo. Adoro, letteralmente adoro, questo scrittore da allora. Non so quante volte ho letto e riletto i suoi libri, da Fiesta, Il Vecchio e il mare, a Per chi suona la campana, ai Racconti… ne mancano ancora alcuni all’appello che mi riprometto di leggere quanto prima. Succede che fra le varie letture di ogni giorno accantoniamo i cosiddetti classici e non sarebbe male rileggerli di tanto in tanto: l’età, le esperienze, forse anche la maturità li fanno apprezzare e riscoprire in maniera diversa, dopo tanti anni.
Ernest Miller Hemingway nasce il 21 Luglio 1899 a Oak Park, nei pressi di Chicago: già un secolo, quest’anno, dalla sua nascita ma senza particolari celebrazioni, almeno in Italia. E dire che proprio in Italia Hemingway fu di casa e dimorò diverse volte in svariate città. Ad Alassio, dove soggiornò nel 1953, era solito frequentare il Caffè Roma, gli fu dedicato un muretto (situato proprio davanti al bancone del bar) trasformato in opera d’arte interattiva, idea che piacque molto allo scrittore: da allora il Muretto di Alassio, di cui riporto la foto, divenne un quasi monumento che lo ricorda.
Fu un bambino sereno e felice: la sua infanzia trascorsa nella regione dei Grandi Laghi, impresse profondamente nella sua anima l’amore per la natura, per la caccia e la pesca, esperienze che ispirarono in seguito molti dei suoi romanzi. Al contrario la maturità e l’ultima fase della vita di Ernest Hemingway trascorse fra stravizi, malattie e depressioni che lo portarono diverse volte in cliniche psichiatriche per sottoporsi anche a trattamenti di elettroshock, fino alla morte per suicidio avvenuta il 2 Luglio 1961.
Abbandonati gli studi dopo il diploma, Ernest Hemingway cominciò a lavorare come cronista per il Kansas City Star, questa esperienza gli aprì il mondo della scrittura oggettiva, caratterizzata da frasi chiare e concise che divenne peculiarità del suo stile personalissimo di scrittore e giornalista. Ebbe molti seguaci ed imitatori, sia nel giornalismo che in letteratura: “Scrivere in maniera semplice e chiara, soltanto le cose che si conoscono”, fu il suo motto esclusivo. Inoltre, l’essenzialità e l’asciuttezza dello stile Hemingway ebbero un’influenza molto significativa nello sviluppo del romanzo del XX secolo e molte opere dello scrittore sono considerate pietre miliari della migliore letteratura americana (non ho certo imitato il primo venuto da ragazzina…). Proprio per la sua originalità, per la schiettezza e la sincerità raggiunse una grande popolarità e, ben presto, anche la consacrazione a mito delle nuove generazioni. Nel 1953 Hemingway ricevette infatti il Premio Pulitzer per Il vecchio e il mare e nel 1954, il Premio Nobel per la letteratura. Indirettamente fu anche vincitore di un Oscar cinematografico, in quanto assegnato ad un film, Per chi suona la campana, tratto da un suo romanzo.
Una vita turbolenta quella di Ernest Hemingway: sposato per ben quattro volte e con una lunga serie di altre relazioni sentimentali all’attivo, dai diciotto anni in poi passò gran arte della sua esistenza fuori dagli Stati Uniti: Italia, Francia, Spagna, Cuba furono i luoghi che videro il suo spirito ribelle e trasgressivo, incapace di adattarsi all’ambiente conservatore e bigotto a cui la sua famiglia apparteneva. Uno spirito ribelle che lo portò a partire arruolandosi come soldato volontario nella Prima Guerra Mondiale. Ma il violento impatto con la truce realtà della guerra, spense i suoi entusiasmi di giovane avventuriero tanto che per il resto della vita fu un acceso antimilitarista.
Negli anni Venti, il contatto con l’élite culturale parigina lo iniziò alla carriera letteraria: l’incontro con Gertrude Stein permise ad Hemingway la conoscenza e l’introduzione nelle avanguardie letterarie dell’epoca, il Modernismo in particolare. A Parigi inoltre, nell’ambiente della comunità di espatriati statunitensi la Generazione perduta, (o Lost Generation, espressione coniata da Gertrude Stein e resa famosa da Hemingway: indica quella generazione dei nati poco prima del Novecento che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale e restarono segnati dall’esperienza) conobbe il poeta Ezra Pound che considerò un maestro e grazie al quale cominciò a pubblicare alcuni racconti e poesie su riviste letterarie.
Non m’importava cosa fosse il mondo. Volevo soltanto sapere come viverci. Forse se scoprivi come viverci, imparavi anche cos’era. (da Fiesta)
Gli anni che seguirono furono un totale crescendo di viaggi in giro per l’Europa e il mondo, di incarichi giornalistici, di esperienze lavorative e sentimentali: dal suo primo romanzo importante del 1923 The Sun Also Rises, pubblicato in Inghilterra e conosciuto anche in Italia con il titolo di Fiesta, ambientato durante la Fiesta di Pamplona e la famosa corsa di San Firmino con i tori, Ernest Hemingway mostra la predilezione per i luoghi esotici ed esprime in pieno il malessere della Lost Generation (Generazione perduta).
Nel 1929 è la volta del romanzo A Farewell to Arms (Addio alle Armi), una storia d’amore nata tra gli orrori della guerra e ispirata alla sua esperienza al fronte italiano. Ambientato durante la Prima guerra mondiale, Addio alle armi rimarca la violenza della guerra e i danni fisici, morali, psicologici e sociali che ne conseguono. Ernest Hemingway, sembra prendere coscienza della futilità della morte di migliaia di persone e gradualmente perde, attraverso il protagonista del romanzo, la fede negli ideali che lo avevano spinto, lui in mezzo a tanti, ad arruolarsi e combattere. Romanzo fortemente autobiografico, questo come gli altri: in molti dei suoi romanzi lo scrittore racconta se stesso, le sue esperienze e la sua interiorità.
Il mondo è un bel posto e per esso vale la pena lottare. (da Per chi suona la campana)
Gli anni Trenta segnarono una vera e propria svolta nella sua vita dello scrittore: spesso criticato per il suo disinteresse nei confronti dei problemi sociali e politici del tempo, Hemingway con la consapevolezza dell’osservazione diretta, ne rimase coinvolto tanto che nel 1936, allo scoppio della Guerra civile Spagnola, partì per Madrid, dove lavorò come corrispondente di guerra. Anche da questa esperienza trasse il materiale per un suo romanzo For Whom the Bell Tolls (Per chi suona la campana, 1940), ambientato proprio durante la guerra civile spagnola e il cui protagonista, un partigiano americano combatte dalla parte dei repubblicani contro i fascisti.
La Seconda guerra mondiale e l’entrata nel conflitto degli Stati Uniti, trovarono Hemingway ancora una volta corrispondente di guerra. A guerra finita visse soprattutto a Cuba ma nell’ultimo periodo della sua vita si stabilì negli Stati Uniti, pur viaggiando molto spesso. Nel 1953 pubblicò The Old Man and the Sea (Il Vecchio e il Mare che gli valse il premio Pulitzer), paradigma, forse, della vita stessa, passata a rincorrere un qualcosa che una volta raggiunto e conquistato, si perde divorato dagli eventi, proprio come il vecchio Santiago con il grande pesce del romanzo: giorni e notti per riuscire a pescarlo, fatica, lotte e ferite, per poi riportare a riva soltanto l’enorme carcassa. (E dimmi se non è una metafora che rispecchia molte realtà, questa…)
L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto. (da Il vecchio e il mare)
Raccontare o racchiudere uno scrittore come Ernest Hemingway in un articolo, non è semplice, specie quando è stato il mito delle tue prime letture dotato, inoltre, di una penna molto fertile. Oltre ai libri citati sopra, è impossibile non ricordarne altri: opere come Il giardino dell’Eden, Le nevi del Kilimangiaro, Verdi colline d’Africa, Avere o non avere, tanto per citarne alcune, sono tutte caratterizzate da uno stile narrativo basato su una prosa essenziale caratterizzata da frasi brevi, semplici e concise, priva di parole superflue, priva di verbi, aggettivi o avverbi che possono indicare un’interpretazione, un’intromissione o un commento da parte dell’autore. La scrittura è quasi impersonale, distaccata e lo scrittore sembra non conoscere la vita interiore dei personaggi, i loro pensieri e i loro sentimenti, registra semplicemente e diventa un testimone degli eventi che narra: tutto questo sembra riprendere, accentuandoli ed intensificandoli fino ad estremizzarli, i temi del Realismo francese o del Verismo italiano oppure possiamo riconoscere delle analogie che riconducono all’altrettanto famosa teoria del Correlativo Oggettivo di T. S. Eliot. Hemingway paragona la sua tecnica narrativa a un iceberg di cui vediamo solo una parte mentre il resto è nascosto, così nei suoi scritti ogni elemento esplicito e visibile nasconde qualcosa di non visibile. Questa tecnica narrativa fu veramente rivoluzionaria e influenzò enormemente gli scrittori del suo tempo e delle generazioni future.
Questa affermazione di Ernest Hemingway che mi piace riportare al termine di questo lungo articolo (ma ci sarebbero ancora tante cose da dire), rappresenta, secondo me, un lato forse inedito dello scrittore e sottolinea l’importanza dell’ascolto in un mondo dove si sprecano milioni di parole. Abbiamo molto da imparare da Hemingway e dal suo stile asciutto, noi con il pallino della scrittura: ascoltare, sintetizzare e non sprecare inutilmente troppe parole.