Partecipazione affettiva dell’uomo al divino, fede amorosa, devozione emotiva che si manifesta con un desiderio appassionato di unione con il Signore, con un abbandono alla volontà divina, con una sottomissione al Signore e agli altri maestri che facilitano l’accesso presso di Lui.
Sono nata e vivo a Bombay. Ho 41 anni. Non ho figli. Vivo da sola. Con poche parole: sono una donna che scrive e fa molte cose, giornalismo, poesia, critica letteraria e d’arte, testi per il teatro. Tutto questo per poter continuare a scrivere in forme diverse. Amo la scrittura in tutte le sue possibili manifestazioni. Sono curiosa e ho precisa consapevolezza di quello che mi interessa. Ho pubblicato due libri di poesia, On Cleaning Bookshelves nel 2001 e Where I live nel 2005, pubblicati entrambi da Allied Publishers di Bombay. E sto preparando una terza raccolta, che uscirà con una casa editrice importante di Londra, dove saranno riproposti anche i primi due.
Così racconta di se stessa Arundhathi Subramaniam in un’intervista di qualche anno fa. Poche parole per descriversi omettendo che si è laureata in letteratura inglese, che ha praticato per lungo tempo danza classica indiana, che pratica Yoga regolarmente, che ha diretto le pagine culturali di alcuni giornali importanti di Bombay, che ha tradotto testi teatrali e che collabora come giornalista free lance con numerosi quotidiani e riviste.
Confida nel dio/ tornato dai viaggi,/ nella sua voce di crusca/ (e di camomilla),/ nel suo neem, albero di saggezza,/ nel suo pavone dalle piume sudate,/ appisolato nell’ombra.
Confida in lui/ che siede muto sulle panchine/ ad ascoltare le grida dei bimbi/ dissolversi all’imbrunire,/ nello sguardo svuotato di erranza,/ nel cuore privo di possesso.
Confida in lui/ che ha visto abbastanza/ rivoluzioni, promesse, la luce disperata/ dei centri commerciali, stanze d’ospedale,/ manifesti, teologie, il gusto ferroso/ del sangue, i grandi crateri nel mezzo all’amore.
Confida in lui/ che non rivendica più/ il premio al fratello,/ la partigianeria ai genitori.
Confida in lui/ che ha corso la sua corsa,/ ma ancora gli resta il viaggio,/ in lui che svetta irrorato di linfa/ sapendo di essere lui l’albero/ che dà frutti, festoso/ di sole.
Confida in lui/ che ti riconosce / –augurante, abbondante, ferita in battaglia,/ viva –/ e che sa da dove vieni.
Confida nel dio/ pronto a fare ancora il giro del mondo/ senz’altra ragione/ che vederlo, stavolta,/ attraverso i tuoi occhi./
Quando Dio è un viaggiatore, il titolo della poesia che hai appena letto, ha avuto sulla mia attenzione l’effetto che può avere uno specchietto per le allodole: sarà perchè la poesia di ispirazione religiosa è profondamente nelle mie corde, sarà perchè tocca la mia interiorità più nascosta, sarà perchè la scoperta di Dio è la Grazia di tutte le grazie: sarà tutto questo e molto altro ma non ho potuto fare a meno indagare per conoscere meglio la sua autrice, Arundhathi Subramaniam. E conta poco la religione di appartenenza, Dio ha un linguaggio universale valido per tutte le pratiche, così come è universale il linguaggio di ogni anima che si apre a Lui.
Arundhathi Subramaniam: un linguaggio poetico universale
Un’autrice indiana ma nello stesso tempo cittadina del mondo, con un senso fortissimo d’appartenenza alla sua terra che racconta:
Io sono indiana. Ma mi sento indiana nelle dimensioni culturale e spirituale. Proprio per questo provo un senso d’ira rispetto alla cultura indiana, rispetto alle diffuse ingiustizie. Per anni ho desiderato di essere altrove, ma spiritualmente sono rimasta e rimango in India.
Non posso appartenere ad una realtà in cui non mi riconosco, pur facendone parte. Non condivido l’indirizzo politico della mia città, ma la mia poesia non è politica. Scrivo della ricerca spirituale della provenienza e della meta da raggiungere. E tuttavia sono affascinata dalla mia città per la sua multiculturalità: riflette molte diversità, che sono una grande ricchezza.
La poesia, come molte volte mi sono ritrovata a ribadire, ha un linguaggio universale che esula dalla terra di appartenenza dei suoi autori: la poesia parla la lingua dell’anima e l’anima non conosce limiti, nè confini geografici. Per questo il linguaggio poetico di Arundhathi Subramaniam coinvolge intimamente con la sua essenziale ed universale semplicità. Sa come farsi comprendere con la lingua dell’anima.
Un linguaggio poetico fatto di immagini semplici, normali, usuali, a volte ironiche, che cercano collegamenti nascosti, che attingono e pescano dalla realtà quotidiana e trasmettono emozioni. Nei suoi versi, parole e ritmo si incontrano e si scontrano, non sono solo testimonianza di qualcosa, sono arte.
Arundhathi Subramaniam tra arte e ironia
Un’altra delle componenti dell’arte poetica di Arundhathi Subramaniam è l‘ironia. Bella dote, a prescindere. E se si amalgama alla vera poesia diventa una miscellanea che rivela, oltre la bravura di chi scrive, la sua intelligenza. Per essere ironici ed auto-ironici, come nel caso dei versi che leggerai sotto, occorre una profonda intelligenza. La capacità di ironizzare su se stessi, di guardarsi dal di fuori spietatamente non è usuale: la nostra autrice lo sa fare. E questo me la fa apprezzare ulteriormente.
Arundhathi Subramaniam usa argomenti comuni in A una poesia non ancora nata che oltre ad essere il titolo della poesia che ti propongo di seguito, è il titolo della sua ultima raccolta di poesie: argomenti che sembrano ordinari, pescati dal quotidiano, ma che creano continuità tra la realtà, il suo sentire e la sua poetica.
Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie./ Le leggono dieci persone, in ogni caso./ A tre non piacciono/ per partito preso./ Tre provano un vago struggimento/ ma devono pensare ai rubinetti che perdono/ e al traffico cittadino./ A due piacciono/ e non avrebbero problemi a dirtelo,/ ma non sanno come./ Un’altra è tutta presa/ a preparare domande/ sulle facili ironie/ e sulla politica dell’identità./ La decima si chiede/ se porti le lenti a contatto.
E noi/ corrotti come chiunque altro/ da un mondo assuefatto/ ai carboidrati/ e alle parole,/ brancoliamo ancora/ fra tramonti, metrica e/ schegge di speranza/ per un istante/ immuni/ dal terribile contagio dell’abitudine.
Concludo così per oggi, con la consapevolezza che la poesia e chi la pratica, brancola tra tramonti, metrica e schegge di speranza ma rende immuni dal terribile contagio dell’abitudine.