Caro lettore, come ti dicevo nell’articolo di lunedì del caffè letterario motivazionale, ho deciso di ribellarmi alla mia paura di sbagliare e di non essere mai all’altezza, per dare spazio a ciò che sento di essere veramente e, soprattutto, a ciò che mi rende felice.
Perché scrivere è da sempre ciò che mi viene più naturale, ci ho già provato, e voglio esprimere questa parte di me, esponendomi in prima persona. Sono pronta a ricevere consigli e a tentare di migliorare ogni giorno di più.
Anna: adesso ti chiederai com’è nato questo racconto.
Devi sapere che tra i miei romanzi preferiti c’è la saga dell’Amica geniale di Elena Ferrante, adoro la sua scrittura, il suo modo di descrivere i personaggi dal di dentro. Ogni volta che leggo i suoi libri non riesco a staccarmene fino alla fine e anche dopo, per giorni, ripenso alle scene, ai personaggi e ai loro dialoghi.
Quando ho saputo che a novembre sarebbe uscito il suo nuovo romanzo La vita bugiarda degli adulti, come immaginerai, fremevo dalla voglia di leggerlo.
L’uscita dell’incipit mi ha subito folgorata. Poche righe e una parola che ti scava subito dentro: BRUTTA.
Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto – gli spazi di Napoli, la luce blu di un febbraio gelido, quelle parole – è rimasto fermo.
Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare anche adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione…
Ovviamente l’incipit è stato solo uno spunto, continuavo a chiedermi perché un padre dice brutta alla sua bambina.
E poi ho preso la penna e questo è ciò che ne è nato.
Anna
Il pancione mi faceva sentire goffa e mi impediva ormai ogni movimento, anche se ti avevo cercata tanto, non potevo godermi la gioia del tuo arrivo perché la paura era più grande.
Pochi mesi dopo il tuo concepimento tuo padre aveva perso il lavoro. Era giorno di mercato qui a Napoli e Gennaro era sceso presto, come ogni mattina, per andare a caricare la frutta e la verdura.
Il negozio si trovava in fondo alla strada, molto vicino a casa nostra. Era un piccolo locale ma per me era un posto speciale, Gennaro lo aveva ereditato da suo padre e io lo avevo aiutato a farne un’attività che ci permettesse di vivere dignitosamente.
Ero brava ad organizzare gli spazi ed ero anche un’abile venditrice.
Ogni mattina sistemavo la frutta e la verdura come se dovessi realizzare un quadro. Mi alzavo prestissimo, anche prima di Gennaro a volte, perché volevo che fosse tutto in ordine quando arrivavano i clienti.
La prima era sempre Lina, che mi salutava allegramente, poi arrivavano le altre signore.
Di ognuno dei miei avventori conoscevo ogni dettaglio perché mi piaceva ascoltare i loro problemi e le loro gioie e spesso si fermavano a chiacchierare come se quello non fosse un negozio di frutta e verdura ma una bella caffetteria.
Quando arrivava Gennaro, però, il registro doveva cambiare perché lui non sopportava le chiacchiere, non gli piaceva che entrassi in confidenza con i clienti.
Era sempre rigido e imbronciato quando eravamo in negozio, solo io, ogni tanto, riuscivo ad ammorbidirlo. Non era cattivo, ma era molto geloso e se qualcuno lo irritava o gli faceva una domanda di troppo lo cacciava via.
Io cercavo di mediare e ci riuscivo molto bene ma, da quando ero incinta, non potevo più andare a lavorare come prima e questo stava diventando un problema.
Ricordo ancora bene quando l’ho sentito rientrare, era presto per il pranzo e l’ho chiamato, ma non rispondeva. Mi sono asciugata le mani e sono andata verso la porta d’ingresso, era lì, seduto per terra, con le mani tra i capelli.
L’ho scosso, gli ho preso le mani, gli ho chiesto di non spaventarmi, ma lui era immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Non sapevo cosa fare. Poi d’un tratto mi ha guardato e mi ha detto:
“Rosa, siamo rovinati!”.
“Perché Gennaro, cosa è successo?”,
“Il negozio, Rosa, il negozio è bruciato!”.
Non potevo crederci, il negozio che insieme avevamo tirato su come fosse un bambino, non c’era più. Mi chiedevo come avremmo fatto.
La casa era in affitto, io aspettavo te. Ma non potevo buttarmi giù e provai a rincuorare tuo padre.
Rimase lì seduto per terra per ore, poi riuscii a farlo alzare e si coricò. Da quel giorno, però, tutto è cambiato.
Non c’è stato nemmeno quando sei nata.
Era lunedì, avevo iniziato a cucire per guadagnare qualcosa almeno per mangiare. Gennaro rimaneva a letto per tutto il giorno e poi la sera usciva senza dire niente. Non sapevo dove andasse né cosa facesse, ma era impossibile parlargli, era diventato ormai solo un’ombra nella nostra vita.
Mi picchiava ed io pregavo che una di quelle sere non tornasse più.
Le settimane sarebbero scadute a breve ma la salute non mi era mai mancata durante la gravidanza. E così anche quel giorno stavo lavorando, cucivo un vestito da sposa, e stavo per attaccare l’ultima perlina, quando una fitta fortissima mi ha trafitto il ventre.
Ho sentito un liquido caldo scivolarmi tra le gambe. Non ho avuto paura, ho lasciato il vestito e mi sono avvicinata con fatica alla porta d’ingresso, tenendomi il grembo forte con le mani. Ho chiamato Tina, la nostra vicina di casa, ed è arrivata con tutto l’occorrente per affrontare il parto in casa.
Non ci hai messo molto tempo, poche spinte e ho sentito i tuoi vagiti, per me era una musica melodiosa e non ricordo nient’altro di quel momento se non il tuo visino e i tuoi occhi grandi che mi hanno fissato fin dal primo istante.
Quando ti ho avuta fra le braccia ho promesso che ti avrei protetta da tutto e da tutti. Da quel giorno sono passati sette anni e tu, Anna, sei cresciuta sana e forte. Sei identica a tuo padre, hai i suoi stessi lineamenti, la pelle scura, i capelli corvini e gli occhi color cervone, grandi e intensi.
Anna continua VENERDI’ 3 LUGLIO ALLE 16.
TI ASPETTO. Anna!
Ho le lacrime che scorrono silenziose; mi domando se sia vero o solo frutto di fantasia… ma che importanza ha? Per il solo fatto che le parole abbiamo incontrato la carta sono una verità. Brava brava brava. Aspetto la seconda parte
Io l’ho riletto mille volte e anche se l’ho scritto io ogni volta mi emoziono ed è proprio questo il motivo per il quale ho deciso di condividerlo, e sapere che fa lo stesso effetto su chi legge per me è davvero tanto. Grazie di cuore Ornella.
❤️ non vedo l’ora di leggere e il seguito
Grazie mille Erika
Cara Anna, il tuo racconto così toccante ed intenso ti commuove e ti appassiona, le parole scorrono lievi e il cuore palpita, bravissima ❤️
Grazie Ale per le tue parole e questa bellissima frase: le parole scorrono lievi e il cuore palpita.
Una storia, completamente vera o romanzata che sia, nasce dal di dentro e contiene sempre ciò che preme per venire alla luce. Alla tua Anna hai dato quella “vita” che voleva per essere in pace con sé stessa e con te.
L’inizio è bello, resto curiosa per il seguito.
E’ vero questo racconto è nato quasi per caso ma da quando l’ho scritto ha iniziato a “premere” nella mia mente per venire alla luce e adesso che l’ho fatto sto bene, è un piccolo inizio ma per me è tanto. Grazie Pina per le tue parole.
Brava brava brava! Aspetto la seconda parte ❤️
Grazie di cuore Ila.
Non so quanto di autobiografico ci sia.. so solo che i ricordi scivolano dolcemente nelle parole scritte… sei tu🌹ti riconoscerei tra mille…aspetto con ansia di leggerti ancora…vorrei avere Il tuo coraggio… 😍😍😍😍
Grazie Donny, mi hai fatto un bellissimo complimento! Io sono sicura che lo troverai!.